Onu e Ue già sconfitte in Libano

Alberto Indelicato

Forse è cambiato il numero di telefono. Fatto sta che l’Europa, quella signora nata anche per dare una voce unica e autorevole a tutti i suoi componenti, quando la si chiama non risponde. Le crisi sorgono per mettere alla prova gli uomini, i popoli, gli Stati e da quasi un secolo anche le organizzazioni internazionali.
Dal 14 agosto, data d’entrata in vigore del cessate il fuoco in Libano, ci si è chiesti chi avesse vinto, se Israele o gli Hezbolllah, e chi tra coloro che parteggiavano, finanziavano ed aiutavano l’uno e gli altri, Stati Uniti da una parte ed Iran e Siria dall’altra, poteva dire di essere uscito rafforzato politicamente e diplomaticamente dalla prova. È un dibattito da cui forse non ci si può attendere risposte nette, anzitutto perché gli effetti di un conflitto, tradizionale o anomalo che sia, si vedono sul medio e lungo periodo, e poi perché la partita potrebbe non essere ancora conclusa.
Quel che è certo è che vi sono certamente due perdenti. Tra gli sconfitti vi è anzitutto ancora una volta l’Organizzazione delle Nazione Unite, che si è mossa in ritardo e goffamente e alla fine è riuscita soltanto a ottenere (non ad imporre) una cessazione del fuoco fragile e condizionata a una futura soluzione delle ragioni del conflitto. Non c’è da stupirsene. Non è la prima e non sarà l’ultima volta in cui l’Onu, o per meglio dire gli Stati che la dominano nel Consiglio di Sicurezza, non riescono a mettersi d’accordo sull’applicazione dell’unico strumento che potrebbe dimostrarsi efficiente, quell’articolo sette dello statuto che prevede l’adozione di misure concrete economiche e, se necessario, anche militari per il mantenimento della pace.
Era scontato dunque che l’Onu fosse il primo sconfitto della crisi. L’Onu è un sconfitta nata. D’altronde la Società delle Nazioni che la precedette morì dello stesso morbo, un morbo che si chiama impotenza e con il quale, per fortuna, le Nazioni Unite si sono abituate a vivere. In certo senso mitridatizzate, non ne moriranno.
Per l’Unione Europea la situazione è diversa. Dopo alcune indubbie realizzazioni come l’euro e la libera circolazione delle merci, dopo il trattato di Schengen, in parte però abortito a causa dei problemi di sicurezza e di una mancata politica comune di immigrazione, essa aveva sognato di poter veramente pesare sulle vicende del mondo con una politica estera unica.
Chi ha dimenticato che era stata preparata una Costituzione che prevedeva un ministro degli Affari esteri comune, che avrebbe detto al resto del mondo quale sarebbe stata la posizione della Grande Potenza europea su ogni singolo problema? Non si era parlato anche di un rappresentante permanente dell’Unione Europea nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite?
A dire il vero, il ministro degli Esteri c’è, ma non c’è una politica estera. D’altronde può esistere una politica estera senza una forza militare?
Il nostro governo ha suonato l’adunata per formare un esercito, ma non sembra che nessun europeo abbia risposto. «Non siamo soli», ha affermato il ministro degli Esteri italiano Massimo D'Alema, con una frase che sembra il fischiettare in una notte tetra d’un passante solitario che vuole darsi coraggio. Se parla dell’Europa si sbaglia, siamo più soli di quanto non fossero a suo tempo gli esponenti del Partito d’azione, tutti generali senza soldati.
Ma forse D’Alema intendeva dire che assieme a lui vi sono tutti gli ex pacifisti nostrani, che pur hanno trovato qualche «se» e qualche «ma» al loro pacifismo nella speranza di aiutare gli Hezbollah ed eventualmente di combattere contro gli israeliani. Non personalmente, naturalmente, ma facendo rischiare i nostri soldati con delle «regole d’ingaggio», che potrebbero permetter loro di agire sul terreno soltanto se i terroristi non si opponessero alla loro azione.
Se viene intercettato un mezzo carico di armi i soldati dell’Onu potrebbero - secondo quanto si è appreso - fermarlo, ma non sequestrarlo; essi dovrebbero solo richiedere l’intervento dell’esercito libanese.

È facile immaginare l’efficacia e l’utilità di siffatte operazioni.
Si comprende come i nostri partner europei abbiano intonato il loro entusiastico «armiamoci e partite» in nome dell’Europa. Come dire: in nome del nulla.

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