Le origini di New York tra realtà e fantasia

Washington Irving racconta come è nata la metropoli che oggi esercita fascino e seduzione in tutto il mondo. Una storia in parte inventata e, al contempo, legata ai volti che in quell'epopea hanno mosso i primi passi. Al lettore l'abilità di distinguere dove finisce la simulazione e inizia la storia.

A New York può accadere di tutto. Quello che non ti aspetti. E che non diresti mai. Perfino quello che hai sempre visto dall'altra parte, sulla parete frontale, quella di un film. Paradigma d'irrealtà. E di fantasia. Perché New York è favola. E seduzione. È sogno. Ed anche realtà. È gioia. Gioia di un incontro. Con chi non supporresti di incontrarti mai. E con chi forse, fuori da New York, mai ti saresti incontrato. È così oggi. Era così ieri. E forse sarà così anche domani. Mistero e fascino di una città che non smetterà mai di rapire chi approda alle sue rive. E prenderlo per mano per condurlo laddove la mente non supporrebbe mai di arrivare.
New York. La fiaba. New York. La magia. New York. La realtà. Insomma, tutto. Tutto in una città. E come una fiaba l'ha raccontata anche Washington Irving, uno dei maggiori scrittori americani del passato, che nel suo volume «C'era una volta New York» (Donzelli, pp. 320, euro 25) ha fuso fiaba, magia e appunto realtà. E dalle sue pagine escono volti noti e personaggi mai esistiti. C'è Peter Stuyvesant, governatore olandese della nuova Amsterdam, destinata a trasformarsi nella Grande mela di oggi. E c'è uno strano Cristovallo Colon che tanto sa di Colombo, ma guai a dirlo. Potresti scatenare faide di popoli. A caccia di un passaporto sconosciuto. Di natali mai accertati. E' italiano Cristoforo Colombo. Ma perché poi tutti lo chiamano sempre col nome spagnolo... Per di più presunto... E c'è William il bizzoso. E Walter il dubbioso. O Peter Testadura, i primi tre governatori di quella terra in riva all'Hudson dove indiani chiacchieroni si incontrarono con taciturni olandesi.
Idillio perfetto. Logorrea contro ascolto. Ma anche faide. Come quella tra i Dieci brache e i Braca tosta, una sorta di Montecchi e Capuleti transoceanici, dei quali Diedrich Knickerbocker, sedicente storico, sconosciuto e irraggiungibile, di origini olandesi racconta le gesta e, attraverso la sua voce, Irving abbozza un come eravamo a stelle e strisce. O meglio un come probabilmente saremmo potuti essere. E saremmo intende sia il prototipo degli europei sbarcati nel nuovo mondo e loro, gli eredi. Oltre che, naturalmente, i nativi. Tutti americani doc, ma a vario titolo. Irving insomma dà fondo a tutta la sua fantasia - che non è ridotta - per mettere insieme le origini di una città oggi, forse, ombelico di un mondo che vi converge come attratto da un fluido speciale. Quello che ti prende per mano e ti accompagna dove non sapevi che saresti mai approdato.

Proprio come nelle pagine di questo libro dove realtà e immaginazione si mescolano in un caleidoscopio di volti e in un groviglio di passi incrociati. Proprio come recita il titolo, «C'era una volta New York». Già. C'era una volta... la fiaba. New York... la realtà. Appunto. Fiaba e realtà aggrovigliate. Gli impossibili. Che si toccano.

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