L'invecchiamento è un segnale del tempo che scorre e nessuno può fermare: spesso, però, fermarci troppo a pensare alla "paura" dell'età che avanza può avere effetti negativi come nel caso del nostro cervello. La scoperta è stata fatta da un team di scienziati che hanno pubblicato un lavoro su Jama Network spiegando qual è il ruolo delle convinzioni positive sull'età nel recupero da un lieve deterioramento cognitivo tra le persone anziane.
L'influenza delle convinzioni sociali
In pratica, più si ha paura che si possa perdere smalto, memoria, e più è facile che ciò accada davvero. Lo ha spiegato la prima autrice del lavoro, la prof. Becca Levy, docente in Psicologia ed Epidemiologia alla Yale School of Public Health, tra le più esperte nel settore per quel che riguarda invecchiamento e tutti i meccanismi che concorrono al declino cognitivo. "Le convinzioni sociali sull'età influenzano la nostra salute e i marcatori biologici dell'invecchiamento", ha affermato. Le persone che vivono nelle società che considerano la vecchiaia con accezione negativa possono andare incontro, precocemente, a declini fisici e cognitivi con il cervello che rimane una delle aree maggiormente coinvolte da questo processo.
"Quando si parla del nostro modo di invecchiare, la società e l'ambiente in cui viviamo è spesso la causa e la biologia è l'effetto", afferma l'epidemiologa come si legge su Repubblica. Gli esempi sono numerosi e dipendono anche dalle parole che un anziano può pensare più spesso come, ad esempio, debolezza, regressione. "Se tendono a venirci in mente per primi pensando alla vecchiaia, al posto di altri quali 'saggezza', 'fantasia', 'dolcezza', allora l'attitudine sarà evidentemente negativa", sottolinea l'esperta.
Semmai, spesso, l'età che avanza (lo dimostra la scienza) può portare nei pazienti sani una migliore qualità della salute mentale "con una più equilibrata gestione delle emozioni e una maggiore consapevolezza delle variazioni degli stati d'animo".
Il disturbo cognitivo lieve
La ricerca della prof. Levy e del suo team ha preso in esame cosa accade agli over 65 che presentano un "disturbo cognitivo lieve": non si tratta di demenza ma di una parziale inefficenza di alcune aree del cervello che a volte hanno lievi dimenticanze di memoria mentre altre volte si assiste a forti deficit cognitivi. Si dimenticano date, appuntamenti, viene meno la capacità di ragionare come in passato e si possono avere difficoltà nel linguaggio: mediamente la percentuale che presenta questa problematica varia tra il 12 e il 18%. Ultimamente, però, il 10-15% delle nuove diagnosi peggiora in demenza nell'arco di un anno e un terzo di questa percentuale andrà incontro all'Alzheimer entro cinque anni.
Ebbene, la ricerca che ha visto coinvolti oltre 1.700 persone al di sopra dei 65 anni si è basata sulla compilazione di un questionario per verificare quali fossero le "attitudini positive all'invecchiamento" dividendo successivamente i pazienti in ottimisti e pessimisti. Il lavoro, durato ben 12 anni, ha dimostrato qualcosa di inequivocabile: il 30% del gruppo dei pessimisti ha avuto maggiori possibilità di andare incontro a un decadimento cognitivo rispetto a chi prendeva la vecchiaia in maniera diversa e ottimistica. "Chi ha convinzioni positive sull'invecchiamento può essere più propenso a mettere in pratica routine salutari o azioni di prevenzione, come una buona alimentazione o fare spesso attività fisica", ha spiegato l'esperta.
Infine, c'è un piano anche fisiologico che contribuisce a mettere in atto una serie di meccanismi che possano portare a un determinato benessere rispetto a chi, per così dire, si lascia andare al tempo che scorre.
"Abbiamo analizzato molti biomarcatori dello stress e sembrerebbe proprio che chi è più 'positivo' abbia rischi cardiovascolari inferiori, e soprattutto mostri minori livelli di cortisolo e tasso glicemico", conclude.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.