Il Papa: «Forze oscure minacciano il Libano»

Marcello Foa

La frase più inquietante è del Papa: «Forze oscure cercano di distruggere il Libano», quella più esplicita del premier britannico Tony Blair: «Ora dobbiamo proteggere il primo ministro Siniora». Il giorno dopo l’uccisione di Pierre Gemayel il mondo è costretto a confrontarsi, ancora una volta, con la drammatica situazione di Beirut. E il sentimento prevalente è tutt’altro che ottimista.
Benedetto XVI non poteva tacere dopo l’assassinio di Pierre Gemayel, un leader cristiano. La sua condanna «per il brutale attentato» è «ferma». E angosciata. Il suo riferimento alle «forze oscure» che tentano di destabilizzare il Paese è forte e persuasivo. Il Pontefice non fa nomi, ma non è difficile intuire a chi si riferisca. Alla Siria, innanzitutto e ai suoi alleati nella regione: gli Hezbollah e l’Iran. D’altronde questo è, dal febbraio 2005, il quinto assassinio di personalità ostili a Damasco, peraltro senza mai rivendicazioni credibili. Certo, non bastano queste coincidenze a provare la colpevolezza del regime di Assad, ma gli indizi sono consistenti.
La Santa Sede, però, sollecita il Libano a non arrendersi. «Invito tutti i cittadini a non lasciarsi vincere dall’odio, bensì a rinsaldare l’unità nazionale, la giustizia e la riconciliazione», dichiara il Papa. Occorre «lavorare insieme per costruire un futuro di pace». Tanto più che il contesto internazionale sembrava propizio alla ripresa del dialogo. Il governo britannico lo aveva auspicato pubblicamente, proprio la settimana scorsa; quello americano stava tentando, con grande prudenza, i primi approcci con quel regime in passato accusato di sostenere il terrorismo internazionale. Ora il processo di riavvicinamento torna in dubbio. Alla distensione con l’Occidente Assad sembra preferire la «riconquista» del Paese dei Cedri, che da sempre i siriani considerano un proprio feudo.
Per questo si teme che la mattanza possa continuare. Un Blair visibilmente scosso ha affermato che l’uccisione di Gemayel «è priva di qualsiasi giustificazione» e ora «dobbiamo fare tutto il possibile per proteggere la democrazia in Libano e il governo del premier Fouad Siniora». Sulla stessa linea il presidente Bush che ha offerto «appoggio totale» allo stesso Siniora e ha confermato che gli Usa «continueranno a opporsi a qualsiasi ingerenza della Siria e dell’Iran».
L’altro ieri Parigi aveva puntato il dito contro Teheran. Ventiquattr’ore dopo è giunta la replica, sferzante. «Queste accuse non hanno altro effetto che di aggravare la situazione», ha denunciato il ministro degli Esteri Ali Hosseini, «e rivelano lo spirito distorto e interventista dei responsabili francesi». Secondo il governo radicale sciita «il popolo libanese ha raggiunto la maturità e non ha bisogno dei consigli delle potenze straniere». Affermazione che, implicitamente, vale solo per europei e americani e certo non per Siria e Iran, che possono tranquillamente continuare a manipolare il Paese, Damasco appellandosi ad antichi retaggi, Teheran per il tramite degli Hezbollah. D’altronde è questo lo standard diplomatico del regime di Ahmadinejad.
Ma di Libano ieri si è parlato anche a New York. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha infatti approvato la creazione di un tribunale internazionale incaricato di giudicare gli assassini dell’ex premier libanese Rafik Hariri.

Un passo salutato con soddisfazione sia da Bush sia dal presidente Chirac, ma che è destinato a irritare ulteriormente Damasco: i principali indiziati nell’inchiesta su quell’attentato sono proprio alti dirigenti del governo siriano.

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