Sono le 15.57 e scrivo senza sapere come andrà a finire, ma so perfettamente come andrà a finire. La particolarità del caso Englaro, del resto, sta nella dimensione pubblica in cui il padre Giuseppe ha ostinatamente voluto mantenersi; il caso di Piergiorgio Welby fu ancora più cristallino e insopportabile, perché fu lui direttamente, devastato e con gli occhi aperti, a chiedere il distacco dal respiratore e dalla vita. Per le stesse ragioni fu un caso meno mediatico: così pure, se Eluana Englaro fosse stata mostrata nelle condizioni attuali anziché splendente studentessa, la percezione sarebbe stata diversa. Stiamo parlando di comunicazione, di quei meccanismi che trasformano la realtà in merce cartacea e televisiva.
Dopo di che il giornale si butta, e la tv si spegne: si torna nel Paese dove bisogna fare le cose di nascosto. Il Paese in cui, secondo uno studio Giviti-Istituto Negri, più della metà delle morti in terapia intensiva avviene per interruzione delle cure, e dove, su 150mila ricoverati, oltre 18mila decessi avvengono per decisione dei medici. Secondo il Centro di Bioetica dell’Università cattolica, poi, il 42 per cento dei medici ha praticato la sospensione delle cure.
La rivista medica Lancet, infine, ha sostenuto che in Italia il 23 per cento dei decessi è preceduto da una decisione medica. Tutto sarà come prima, legge o non legge: si fa ma non si dice. Ecco come è già andata a finire.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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