Le pene virtuali

Certe storie criminali sono ripetitive come la pioggia e generano un disagio doloroso, l’intollerabile sensazione di rivivere un evento già troppe volte sofferto. Dietro la rapina tragica di Abano Terme – il gioielliere assalito che ferisce a morte il bandito ed è ucciso – c’è, ancora, una vicenda italiana di giustizia lassista e sgangherata, di pene virtuali mai scontate, di improbabili «percorsi di redenzione» che restano sulla carta.
Il bandito ucciso, Emanuele Crovi, ha tentato il colpo in gioielleria, con complici armati di mitra, quattro giorni dopo aver riacquistato la libertà. È stato scarcerato dal Tribunale di sorveglianza di Venezia nonostante avesse da scontare ancora un paio d’anni per una serie di rapine. Il giovane sciagurato era tossicodipendente e la conversione del carcere in sorveglianza speciale avrebbe dovuto favorire il suo recupero in una comunità.
Certamente i giudici hanno agito sulla base ineccepibile di leggi e regolamenti, dottrina e giurisprudenza, ma la legalità formale di certi provvedimenti non riesce a dissipare la sensazione che una sostanziale ingiustizia sia stata compiuta. Nei confronti di una comunità civile in cui gli assassinati e gli offesi, come il gioielliere Gianfranco Piras, sono tanti, troppi; una società che si sente sempre più insicura, assediata, angariata da una criminalità invasiva e diffusa.
Qualcuno dirà che Emanuele Crovi non era Al Capone, ma bisogna sottolineare che la sua storia, i suoi precedenti e il suo stile di vita forse avrebbero dovuto indurre alla prudenza, a non eccedere in speranze quando si è discusso di un suo improbabile recupero. Ogni morte merita pietà, ma non bisogna dimenticare la verità, che è la prima, elementare forma di rispetto per le vittime della criminalità.
L’ucciso aveva 32 anni, aveva esordito giovanissimo con scippi e furti. Il suo primo arresto da maggiorenne risale al 1996, quando assaltò un ufficio postale. Da allora, il giostraio era entrato e uscito più volte dal carcere. Gli avevano offerto delle occasioni di cambiamento, nella sua fedina penale c’è anche un arresto per essersi allontanato dalla comunità alla quale era stato affidato. C’è anche l’evasione dagli arresti domiciliari. Un anno fa venne catturato dopo aver provocato il caos nel centro di Padova: per evitare un posto di blocco, con la sua auto speronò parecchie altre vetture. Naturalmente era uscito dopo poco tempo. L’ultimo arresto, per una serie di rapine, nel mese di gennaio e, infine, venerdì scorso, la scarcerazione che gli ha consentito di non mancare l’appuntamento col delitto e con la morte.
Una storia come tante, purtroppo, nelle quali l’impegno e la fatica delle forze dell’ordine rischiano di apparire un inutile spreco di energie.
Anche sull’altro fronte una vicenda non nuova. Pure la storia di Gianfranco Piras è tragicamente esemplare. Un uomo rispettabile e rispettato, un’attività che cresce grazie al lavoro di una vita. Dodici anni fa il gioielliere era stato messo quasi in ginocchio da una rapina. Gli avevano svuotato il negozio e gli era rimasta l’angoscia per quella brutta esperienza. Non tollerava che una banda di balordi potesse mettere in pericolo la solidità di un’azienda costruita pezzo per pezzo, giorno dopo giorno. Allora aveva comprato la pistola. Non si sentiva uno sceriffo, ma bisogna pur andare avanti, non si può provare un tuffo al cuore tutte le volte che si apre la porta del negozio e non si riesce a capire se stia entrando un rapinatore o un fidanzato che cerca un anellino.
La sicurezza deve essere garantita dallo Stato, che proprio per questo mantiene il monopolio della forza legittima. Ma se lo Stato non riesce a essere sempre ovunque? Se la criminalità è così poco «micro» da attaccarti in casa e in negozio, in strada e in villa è immorale o illegale pensare di difendersi anche da soli, come ultima risoluzione in circostanze sfavorevoli? Nessuno vuole il Far West, ma il disarmo morale, prima ancora che fisico, non è una soluzione.
Ed è bene che l’intera materia della legittima difesa venga rivista, perché le interpretazioni correnti hanno svuotato l’istituto dei suoi contenuti. Bisogna chiarire che cosa significhi in concreto l’inviolabilità del domicilio, la pericolosità degli attacchi criminali, bisogna separare nettamente la posizione di chi attacca da quella di chi si difende.
Chi riesce a mettere in fuga i banditi, a fermarli con l’uso legittimo della forza spesso è indotto a pentirsene; come si suol dire, passa un guaio. Va incontro a procedure e labirinti giudiziari che non meriterebbe.

E che bisognerebbe evitare, anche per risparmiare al sistema – che è al collasso – migliaia e migliaia di carte. Chissà, evitando le procedure inutili forse ci sarebbe più tempo e agio per valutare meglio i «percorsi di recupero» di tanti balordi.

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