PENNACCHI STREGATO

Cin cin, Antonio. Bye bye, Silvia.
Scolata in una fiabesca notte romana al Ninfeo di Villa Giulia l’ultima bottiglia di Strega, rimane il retrogusto amaro della realtà: ha vinto Antonio Pennacchi. E Silvia Avallone, seconda, ha perso per quattro voti, 133 contro 129. Tiè. Molto indietro Paolo Sorrentino e gli altri due outsider, già dimenticati anche dalla cronaca.
E Mondadori, così, ha fatto poker: ha vinto nel 2007 con Niccolò Ammaniti, Come Dio comanda; nel 2008 con Paolo Giordano, La solitudine dei numeri primi; nel 2009 con Tiziano Scarpa, Stabat Mater (Einaudi, ma stesso gruppo), e quest’anno con Pennacchi: Canale Mussolini. Giù la coppola, ha vinto il migliore.
Intanto già si alzano lagne e proteste: contro lo strapotere del colosso di Segrate, contro il regime mondador-berlusconiano, contro chi vuole mettere il bavaglio anche alla libera narrativa, contro l’omologazione editoriale e le vittorie pianificate a tavolino... visto che per l’anno prossimo è già stato deciso il trionfo di Roberto Saviano con il nuovo libro di cui nessuno, peraltro, sa nulla. Si chiama dittatura del bestseller annunciato. Ce n’è abbastanza per un mese di critiche feroci alla Mondadori, al dominio incontrastato del grandi marchi e ai perversi meccanismi che regolano l’assegnazione del premio.
Strano, però. Fino all’altro ieri, nel 2007, quando era ancora fra noi la grande dame Anna Maria Rimoaldi, tutti a lamentarsi perché lo Strega veniva assegnato applicando scrupolosamente il manuale Cancelli dell’editoria: un anno a te, un anno a me, un anno a lui, un anno ancora a me... E adesso che nell’era post-Rimoaldi il manuale è stato bruciato sul falò della meritocrazia, lasciando spazio alla libera (?) scelta dei 400+30 giurati, tutti di nuovo a lagnarsi perché - per caso - vincono quattro romanzi di fila dello stesso editore. Forse significa che erano davvero i migliori, o perlomeno i più in «linea» rispetto alla tipologia del romanzo Strega. Lo ha detto ieri lo stesso neo premiato, il vecchio (si fa per dire: ha 60 anni) Pennacchi con la sua saga familiare che riporta alla bonifica delle paludi pontine negli anni del fascismo: «State sempre a parlare dello strapotere delle case editrici, ma hanno votato il libro, non l’editore. Se ho vinto una volta non c’è niente di male».
Volevate una vera competizione? Eccovi serviti. Benvenuto Pennacchi nel club letterario più esclusivo del Paese. Del resto lo avevano detto quasi tutti che Canale Mussolini era il libro più bello della cinquina mentre - ahilei - quello di Silvia Avallone era una furbetta operazione editoriale, un eccellente packaging senza prodotto. Sotto la copertina niente. L’ha scritto, in una stroncatura perfetta, Marco Belpoliti sulla Stampa: «Acciaio è un libro Midcult, per usare un termine di Dwight MacDonald: un’opera che copre la sua appartenenza al genere Masscult, ovvero al genere popolare, di successo, con la foglia di fico culturale... nel Midcult si pretende di rispettare le regole della Alta Cultura mentre in realtà le annacqua e le rende volgari... da noi, in Italia, il valore letterario di un testo è un affare secondario, mentre il vero affare è venderlo bene».
Irricevibili, invece, le illazioni di Stefano Mauri, presidente del Gruppo Gems: «Non si vive di solo Strega. Sarebbe bello se questo premio divenisse un po’ più meritocratico. Visto che per quattro anni di fila il premio è andato allo stesso gruppo, è evidente che le variazioni fatte sino a ora sono insufficienti». E se insufficienti, semplicemente, fossero gli altri libri in concorso?
E poi diciamocelo, che impagabile soddisfazione vedere un maschio, rude e per nulla carino, fascista o fasciocomunista che sia, battere una donna, gentile e carina, narrativamente corretta o fintamente che sia. Non è che tutti gli anni può vincere il modello-paologiordano: belli carini e impegnati. Per una volta ha perso davvero il peggiore.
E ha perso, anche, Paolo Mieli. Che ha sbagliato, per una volta, l’applicazione della altrimenti fortunata formula del mielismo, quella basata su un’equilibrata mescolanza fra l’«alto», in questo caso il contenuto sociale del romanzo della Avallone ma anche le aspirazioni al prestigioso premio, e il «basso», cioè l’allure pop della scrittrice ma anche il livello letterario del suo libro. O almeno così dicono le malelingue che accusano il direttore della Rcs-libri di aver maneggiato dietro l’esedra del Ninfeo con telefonate, sms, cene e caffè per far convergere il maggior numero possibile di voti sull’esordiente autrice Rizzoli.


Per il resto, non rimane che registrare la splendida chiusa del professor Tullio De Mauro, presidente del premio Strega, all’indomani della quarta vittoria consecutiva del super-gruppo di Segrate: «Rispondo con una battuta: non resta che chiudere la Mondadori! Le manovre dietro le quinte sono leggende metropolitane». Dove la battuta, ovviamente, è nella seconda parte della proposizione.

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