PERCHÉ LA CRISI CI FARÀ BENE

E se l’attuale crisi finanziaria fosse per il capitalismo ciò che l’uragano è per il clima? Un fenomeno devastante ma, nella logica della natura, prevedibile, arginabile, però insopprimibile, che, quando si scatena, rivela la sua dinamica vitale. Perché la crisi è elemento costitutivo del capitalismo. Dal 1848, quando Marx scrisse il Manifesto comunista, poi Il capitale, oltre una decina di crisi importanti hanno scosso il capitalismo. Marx e altri ideologi avevano annunciato l’avvicinarsi della «fase suprema» del capitalismo e il fallimento del sistema.
Sepolto da catastrofiche profezie, il capitalismo è risorto dalle ceneri! E gli altri modelli - il socialismo reale... - sono morti soffocati dalla burocrazia, paralizzati dalla scomparsa dell’iniziativa individuale. All’origine dell’impetuosa crescita della Cina, non c’è la rivoluzione culturale, ma il capitalismo. In realtà il capitalismo procede di crisi in crisi. A innovare - originando forme nuove, ferrovia, auto, Internet - è l’iniziativa individuale, la voglia di guadagnare d’ognuno. Sviluppo tecnico e lucro derivante hanno la forza dell’uragano. Ma tale sviluppo, violento, incontrollato, segno d’inesauribile vitalità dell’uomo e della sua libertà, comporta una proliferazione eccessiva. L’uragano s’esaurisce: è la crisi, la «purga», le imprese più fragili vengono distrutte, le Borse crollano, compaiono disoccupazione e tensioni sociali, intere categorie, nazioni vengono annientate. Tornata la calma - dopo vari anni e anche qualche guerra! -, crescita, nuove tecnologie, diventando abitudini, hanno cambiato faccia al mondo. È il progresso. Audaci imprenditori lanciano nuovi prodotti... Un nuovo uragano si profila...
Dunque non si tratta di finirla col capitalismo, ma di ripararsi dall’uragano. Chi vuol formare il Nuovo partito anticapitalista non capisce che distruggere il capitalismo, privandoci della potenza della vita, farebbe stagnare, morire.
In realtà il sistema va «regolato». Va contestato Reagan che nel 1981 proclamava: «Lo Stato non è la soluzione, è il problema». Un’«autorità pubblica» - Stato, organismo internazionale, Banca centrale - intervenga non per cambiare il sistema, ma per correggere gli effetti smisurati dell’uragano. Ciò suppone che tale autorità esista, dotata di sangue freddo e lucidità politica. Più facile a dirsi che a farsi... E poi l’attuale crisi finanziaria mostra che, cercando il massimo profitto nel minimo tempo, si è aperta una fenditura tra economia reale - officine, imprese - ed economia virtuale - quella dei segni immateriali: la moneta -. Frutto della globalizzazione e delle comunicazioni istantanee, l’economia virtuale è divenuta autonoma. C’è un’industria finanziaria, che fabbrica prodotti finanziari - titoli, fondi spazzatura, azioni - e li vende e rivende, favorisce il credito senza limiti, né garanzie. Il denaro produce denaro, il virtuale produce virtuale, il credito produce credito. La logica del capitalismo non è cambiata, ma non ci sono più ferrovie, beni materiali, sebbene monete, giochi virtuali, scritture. È sì l’uragano, ma sempre più autonomo.
Se la meccanica si ferma, tutto il sistema finanziario può crollare: va regolato, iniettando liquidità e lasciando agire la «terrificante purga». La macchina ripartirà. Ma i danni sono immensi, sebbene il virtuale, coi prestiti immobiliari, abbia costruito milioni di appartamenti i cui prezzi crollano. Per moltissime persone - spesso di classe media - è la povertà. È successo dopo la crisi del 1929... con le note conseguenze politiche.

L’uragano economico ha generato l’uragano guerriero. E dalla guerra il mondo è uscito trasformato. Slancio delle società, dell’economia... Ed ecco l’uragano.
Max Gallode l’Académie française
(Traduzione di Maurizio Cabona)

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