Quando Verdone scelse Sora Lella in un bar

Elena Fabrizi conduceva una trasmissione radiofonica per cuori infranti su Radio Lazio: Carlo la intercettò mentre si scolava un crodino in pausa pranzo

Quando Verdone scelse Sora Lella in un bar

Freme dalla voglia di imbattersi nel volto giusto, ma le occasioni languono. Si rigira nel letto, senza riuscire a saldare insieme i pensieri: a Trastevere ne ha scorte un mucchio con i requisiti richiesti, ma poi si fermano tutte alla battuta fragorosa e nulla più. Gli serve una donna che trasudi romanità nell’espressione e nei gesti, ma che sappia anche tenere la parte per tutto il tempo, senza disunirsi. Sta penando terribilmente, Carlo Verdone, perché le riprese del nuovo film si avvicinano con pressante irruenza e manca ancora un tassello essenziale.

Con Sergio Leone si sono parlati dritti: nessun personaggio, seppur secondario, può essere appannato. Serve una nonna dall’aria burbera e bonaria al contempo, una di quelle matrone capaci di addentare lo schermo. “Un sacco bello” l’ha infilato su un’autostrada inedita e lui intende continuare a premere sull’acceleratore. Mimmo, il personaggio dai pensieri tutt’altro che svelti destinato ad occupare il corpo centrale di “Bianco, rosso e verdone”, non può rimanere sprovvisto di quell’ingombrante parentala ancora a lungo.

L’illuminazione che fende la logorante ricerca arriva d’un tratto. Sfibrato, Verdone se ne sta curvo sul bancone del bar sotto casa sua, quando un suo amico lo risolleva pigolando: “A Ca’, stai a cercà una per fa’ tu nonna? Ce sta Sora Lella, la sorella di Aldo Fabrizi. Fa un programma su Radio Lazio per le donne che c’hanno un sacco de problemi, le conforta. Attacca alle undici, poi tutti i giorni a mezzogiorno scende qui a farsi un crodino”. Lampadina che si avvita. Carlo si sintonizza il giorno dopo. Palpebre inamidate quasi subito, ma perché quella ti tramortisce con repliche di una genuinità contundente: “Lella” Mi’ marito è tornato alle tre l’altra sera. Ho trovato un sacco de rossetto sul collo della camicia: che devo fa’?”. E lei, con consumata sicumera: “Daje un carcio ar culo!”. Tutte le sue sentenze radiofoniche, destinate a lenire eserciti di cuori infranti, sono composte di questa irresistibile sostanza. Un intruglio di ilarità e schiettezza, abbinate ad una faccia d'ambulante di Campo dei Fiori.

Quella notte Carlo dorme più liscio. La mattina dopo piomba nel solito bar, ma all’orario giusto. La trova, come di consueto, intenta a scolarsi avidamente un crodino dopo le fatiche di un’ora al microfono. È una donna corpulenta, con una nuvola di capelli che vorrebbero sbuffare ovunque, ma sono saldamente avvitati da molte forcelle. Indossa un vestitone e le calzette. Veste proprio come una nonna. Verdone rompe il ghiaccio, con deferenza: “Scusi, voi siete Sora Lella?”. Quella si gira di scatto, asciugandosi le labbra. “E voi chi siete?”. E lui: “Sono Carlo Verdone”. “Ma chi – chiede lei – quello che fa l’attore?”. “Sì, attore e regista”. “Mecojoni” è la riposta che cicatrizza una filosofia dell’esistenza.

Verdone e Lella
Verdone e Sora Lella in una scena del film

Carlo le spiega quello che cerca. Lei pilucca mentre lo ascolta. Poi gli dice ce ci sta, ma che comunque tutti quelli che fanno cinema sono degli arnesi, mille promesse e poi si vedrà. Verdone la rassicura: “Signora mia, se me’ tiene le battute siamo a cavallo”. Uscito dal bar, le dita tremolanti per l’eccitazione indotta da quella epifania, si fionda alla prima cabina telefonica e compone il numero di Sergio Leone. “A Se’, ho trovato una fenomenale per il ruolo della nonna”. “E chi sarebbe?”. “Sora Lella, quella della radio”. Silenzio disarmante. Poi il cavo agganciato tra i due ricevitori vibra scompostamente: “Ma che c…o hai fatto? Questa c’ha il colesterolo a trecento, entra ed esce dal Fatebenefratelli. Questa ce’ more sul set!”.

Scosso dalla funerea premonizione, Verdone la chiama comunque per il provino. Sora Lella si disimpegna con una disinvoltura abbagliante. Anche Leone è costretto a fare spallucce: “Sì, è brava, ma questa tanto ce’ more sul set”. Allora Carlo fa una cosa. Va dalla futura nonna immaginaria e la ammonisce: “Ascolta, quando arrivano i cestini del pranzo non prende’ mai quello rosso, che è più pesante. Prendi solo quello bianco, mangia pocoa pasta e cerca di smaltire qualche chilo”. È una giaculatoria vana.

Dopo una settimana di riprese il capo macchinista la prende da parte: “A Sora Le’, farebbe na’ bella amatriciana carica per i macchinisti e gli elettriscisti?”. E quella mica si lascia pregare: “Come no, portame na’ pentola”. Mezz’ora più tardi una succulenta grandinata di bucatini intasa gli stomaci di mezzo cast. Gli attori, sedotti dall’effluvio di guanciale e cipolla che rimbalza sul set, sono arrivati in gran massa a rifocillarsi. Nello spazio di un amen il rito dei bucatini diventa irrinunciabile. Le mestolate con cui Sora Lella cosparge generosamente le scodelle, una manna celeste. Solo che il nuovo menù produce anche inattesi effetti collaterali. Dopo pranzo tutti si sentono terribilmente appesantiti. Le palpebre calano in sequenza. Le riprese vengono spinte sempre più in là, a pomeriggio inoltrato.

È un gaudente naufragare, ma il film reclama una scialuppa per non inabissarsi tra i flutti del colesterolo. Pur inebriato da quelle confortanti rimpinzante, Verdone capisce che bisogna darci un taglio. Si scruta la pancia e i fianchi: ha preso quattro chili. Leone, furente, lo striglia. “Levatele ‘sta pentola”, implora Carlo ai macchinisti. Si torna in fretta ai cestini bianchi. Le riprese, gioiosamente sonnolente, tornano sui ritmi consueti. La pellicola arriva in fondo. Sarà un successo fragoroso, sospinto anche da una Sora Lella spaziale.

Quei bucatini carichi allo spasmo, a distanza di

oltre quarant’anni, restano però un trionfo che si colloca ben oltre l’effimera gloria della settima arte. Assurgono all’Olimpo dei ricordi che slacciano un sorriso e, dunque, si consegnano all’immortalità.

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