La perversione al cinema: il potere e il corpo

Gremese inaugura una nuova collana di volumi dedicati ai film di ogni tempo esaminati per tematiche. Il primo titolo prende in esame il controverso rapporto con il proibito e con una delle forme maggiormente subliminali di violenza

È impossibile parlare di perversione se non compiendo un passo indietro. E fissare la norma. Perché la perversione si misura in proporzione di un asserto iniziale, che fissi i limiti del lecito e del consentito. Solo in quel momento sapremo che, al di là di quel confine, nasce la perversione. Tuttavia questa norma è impossibile da codificare. Perché il senso comune del pudore e di ciò che è legittimo e ammissibile varia e non è mai immutabile. Cambia con le epoche. Con le mentalità. Geograficamente. Cambia con i costumi sociali. E, spesso, anche con quelli morali, che mutano in conseguenza di tutto ciò premesso. Il preambolo, applicabile in senso generale, è valido anche in campo cinematografico e, doverosamente, è stato puntualizzato da Michel Marie autore del volume «I grandi perversi al cinema» (Gremese, pp. 127, euro 18,50) che inaugura una nuova collana della prestigiosa casa editrice romana, leader, per idee oltre che per qualità, nell'ambito delle pubblicazioni dirette agli appassionati della settima arte.
La nuova collana si occupa infatti di grandi tematiche presenti nella storia del cinema e sottolinea come esse - nel nostro caso la perversione - sia presente e sia stata mostrata, per immagini, dai registi di ieri e di oggi. Non ci sono limiti temporali all'argomento preso in esame da Marie e le riflessioni svariano dagli esordi di fine Ottocento ai giorni nostri. Strutturato su quattro sezioni - perversioni maschili, femminili, di coppia e istituzionali - il volume apre spiragli importanti partendo dalla premessa che perversione è la conseguenza di una norma che fissa i canoni di ciò che perversione non è.
Il punto di partenza è, sorprendentemente, il voyeurismo e il suo protagonista, il voyeur. Ovvero colui che trae piacere nel guardare. E perfino nella sua perversione, lo spiare. Da un buco della serratura o da un binocolo. Attraverso uno zoom o semplicemente da una finestra. Perfino il semplice spettatore cinematografico è, a suo modo, un voyeur. E da questa base si parte per spiare - è proprio il caso di dirlo - le storture al maschile. Le più numerose. Le più frequenti. Le più - appunto - perverse. Dalla «Finestra sul cortile» e «La donna che visse due volte» di Hitchcock all'«Uomo che amava le donne» di Truffaut. Da «Psycho» a «Niente da nascondere» di Heineke. Ma citare i film che Marie studia finirebbe per dar vita a un elenco smaterializzato di esempi senza concetti. Invece il denominatore comune della perversione è strutturato essenzialmente su due livelli. Il sesso e il potere. Sensi e morale. Sentimenti e idee. È su questo doppio bivio che si gioca l'intera partita.
Sia a livello maschile, sia a livello femminile, come di coppia è proprio l'universo dei sensi a far prosperare la perversione come molla che consente di esercitare il potere. Ma stavolta in palio non c'è più un impero economico o un segmento di mercato da conquistare, bensì l'essere umano. E, spesso, il suo corpo. Dove non basta più il sentimento, ma occorre l'uso straripante di esso. Ovvero l'abuso. E, quel che è peggio, il sottomettere quel corpo e quell'animo ai propri voleri. Meglio ancora se i più abietti. Come detto, avviene a tutti i livelli. Al maschile. Al femminile. Di coppia. Ovunque il corpo è sotto scacco. In tutti tranne che nell'ultimo. Sopraffina sublimazione di quanto premesso. L'esercito, lo Stato, la religione, il lavoro sono settori che spesso alimentano a loro volta perversioni, ma anche sotto questo aspetto il terreno di combattimento è spesso il corpo. E di conseguenza il possesso, che appare più completo e più esteso quanto più esso è crudele. Implacabile. Come la sindrome dei Stoccarda. E la sensazione per la vittima di realizzarsi solo quando si vede strumento nelle mani del suo torturatore. Tutto questo, il cinema lo ha mostrato ieri come oggi. E Michel Marie conduce lo spettatore per mano in questo viaggio nel tempo, tra piccole e grandi manie che hanno costellato fotogrammi di ieri e di oggi.

Molti dei quali possono essere visti - e apprezzati - a distanza di tempo in maniera diversa da quando uscirono per la prima volta. Potere di una norma che cambia. Di un senso del pudore che si trasforma. E con essi la perversione.

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