da Washington
Hugo Chavez vuol «mettere il silenziatore al suo popolo»? Sì e più tardi, se potrà, allintera America Latina. Lo sostiene Alejandro Toledo, ex presidente del Perù. Un parere «forte», che trova però riscontro nelle scaramucce sempre nuove per una battaglia, quella per linformazione in Venezuela, a cominciare dalle sorti dellemittente Radio Caracas Televisión (Rctv), cui il governo ha tolto la concessione per trasmettere via etere, che ha ripreso a funzionare via cavo e satellite, ma che è di nuovo sotto la minaccia di venire oscurata. Una mossa rischiosa per il regime, di cui molti si chiedono il motivo, perché la tv censurata era molto seguita, perché le reazioni allestero sono uniformemente negative e perché, dopo tutto, le elezioni sono passate, Chavez è stato riconfermato al potere e dunque non dovrebbe aver paura di voci dissidenti nelletere. Ma gli osservatori più accorti credono di conoscere i motivi di questa ostinazione nel rincrudire lo scontro, che andrebbe oltre londa disordinata delle misure demagogiche che Chavez continua a prendere un po in tutti i campi (è di ieri la nazionalizzazione delle funivie) e delle gaffe in cui egli cade sempre più spesso (ha dovuto scusarsi con il primate dellHonduras, cardinale Madarriaga, per averlo chiamato «pagliaccio dellimperialismo»; parole che ora ha ritirato premettendo che «queste scuse non mi costano nulla»).
Dietro queste iniziative irrazionali non ci sarebbe soltanto il fanatismo e il gusto della demagogia e neppure la hybris del potere da improvvisa ricchezza petrolifera. Ci sarebbe invece un oscuro timore, una nascosta insicurezza: un presidente come Chavez, due volte eletto sullonda delle proprie promesse e di una popolarità epidermica ha bisogno di un continuo appoggio popolare, per i suoi atti o almeno per i suoi slogan, di una mobilitazione permanente delle masse e, nel contesto dellAmerica Latina, in una espansione della propria influenza. Di qui lappoggio a Castro nellintento evidente di configurarsi come il suo erede, gli incoraggiamenti e i sussidi ai «discepoli» in Paesi come lEcuador o la Bolivia, lambizione dichiarata di diventare il petro-leader dellintero Sud America. Negli ultimi tempi si stanno invece moltiplicando gli indizi di segno opposto: cè sempre meno gente che crede in Chavez, allestero ma anche in patria. Lesempio più noto è naturalmente la «defezione» del presidente brasiliano Lula, che ha «rotto» con Caracas sulle nazionalizzazioni del petrolio, che sta riassumendo la leadership della sinistra latinoamericana e ha avviato relazioni intense e proficue con gli Stati Uniti. Ma ci sono altri dati ancor più allarmanti.
Gli istituti internazionali di sondaggi rilevano che su 50 Paesi, prevalentemente del Terzo Mondo, cui si dirige la campagna propagandistica di Chavez, in soltanto tre cè una maggioranza di suoi simpatizzanti. Il presidente venezuelano corteggia assiduamente la Russia, ma solo un russo su cinque lo vede con simpatia. Analoghi risultati nel resto del mondo. In Paesi chiave come il Messico, il Cile e soprattutto il Perù la sua popolarità è negli ultimi mesi scesa al punto da essere ancora più bassa di quella di George Bush, notoriamente il meno amato nel mondo fra tutti i presidenti americani degli ultimi cinquantanni. E, quel che è peggio, lo stesso andamento emerge in Venezuela, soprattutto nei riguardi della politica estera. Chavez appoggia le ambizioni nucleari dellIran, ma è daccordo con lui solo un venezuelano su cinque. È vero che Bush a Caracas e dintorni è visto con simpatia da meno di un cittadino su quattro, ma è pur sempre preferito ad Ahmadinejad o a Putin.
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