Il crapone di Antonio Di Pietro, lunedì pomeriggio, galleggiava tra i microfoni con quellespressione inceppata in una severità inutile, tipica sua, che al solito è preludio di una solenne buffonata. Ovviamente è arrivata. A parte il classico «è tornata Tangentopoli» (pronunciato da una quindicina danni per ogni inchiesta dalle Alpi a Capo Passero) e a parte spiegare che una volta era meglio perché i politici si vergognavano (anche se la giunta abruzzese arrestata nel 93 fu assolta con formula piena) la buffonata gli è scivolata in automatico preceduta dalla solita robotizzata «Noi dellItalia dei valori» che Di Pietro pronuncia anche se gli chiedono che ore sono. Eccola qua: «Noi dellItalia dei valori siamo sempre stati fuori dalla politica di governo nelle regioni, e abbiamo sempre evitato di partecipare alla spartizione della torta. Ecco perché occorre un ricambio generazionale ed io invito a guardare alle persone e non ai partiti».
Capito? Peccato che: 1) «Fuori dalla politica di governo delle regioni» un accidente: lItalia dei valori ha pochi rappresentanti regionali perché alle omonime elezioni del 2005 prese un niente di voti, ma ha fatto in tempo a beccarsi almeno un paio di assessorati e uno di questi, tu guarda, era proprio nella giunta abruzzese appena decapitata. Di Pietro, in Abruzzo, era al governo. Così come fu al governo della Calabria dopo le regionali del 2005, quando lassessore dipietrista Beniamino Donnici prese la delega al turismo prima tuttavia di mollare Di Pietro (uno dei tanti) e fondare un movimento di transito verso il Partito democratico.
2) Non solo lItalia dei valori era al governo in Abruzzo, cioè in giunta: ma lo era solamente dal 6 giugno scorso, perché linnesto dellItalia dei valori, concertato con Ottaviano Del Turco, era venuto in soccorso a una crisi altrimenti inevitabile.
3) Ora Di Pietro ha frettolosamente ritirato il suo assessore dalla giunta abruzzese, che del resto è ormai defunta, ma è anche vero che si viaggia ormai verso la fine della legislatura regionale: sai che fatica, quindi, chiedere quelle elezioni anticipate che in ogni caso Di Pietro non volle chiedere pochi mesi fa, quando salvò la giunta proprio «partecipando alla spartizione della torta».
4) Lassessore in questione, quello abruzzese dellItalia dei valori, si chiama Augusto Di Stanislao e potrebbe anche essere la persona migliore del mondo, magari perfetta per Di Pietro, anche perché fa lo psicoterapeuta: ma quanto al «ricambio generazionale» evocato da Di Pietro, beh, Di Stanislao negli ultimi ventanni si è fatto i Ds, Sinistra democratica, lUdeur di Mastella (sinché è esistito) dopodiché ha vanamente cercato di entrare in Forza Italia e solo alla fine ha bussato a Di Pietro: il quale lha accolto subito e, stando a quanto riporta la stampa locale dellepoca, lha fatto assessore in accordo con Del Turco. Nota: Di Stanislao, nei Ds, è stato componente della Commissione nazionale della sanità, tema sul quale è inciampato Del Turco almeno secondo la magistratura.
5) Presto o tardi Antonio Di Pietro potrà cominciare a spiegarci, con parole sue, per quale ragione seguita a straparlare di «ricambio generazionale» (anche a proposito dellAbruzzo) e tuttavia ad affittare il suo movimento a ogni partitocrate di passaggio. Solo ultimamente, a parte i casi citati di Beniamino Donnici e Augusto Di Stanislao, hanno usato lItalia dei valori come porta girevole il noto Sergio De Gregorio, Federica Rossi Gasparrini, Salvatore Raiti, Giuseppe Ossorio, persino Franca Rame più tanti altri che nominiamo sempre, cui ultimamente sè aggiunto Jean Leonard Touadi. Potrebbe spiegarci, in alternativa, perché abbia aperto il suo partito monoposto in particolare a svariati ex Udeur (il partito più partitocrate che cè) del genere di Tancredi Cimmino, Pino Pisicchio, Egidio Enrico Pedrini, Cristina Matranga e insomma tutti quelli che semplicemente ci stavano e ci stanno.
6) In sintesi: «Siamo sempre stati fuori dalla politica di governo nelle regioni»: falso. «Abbiamo sempre evitato di partecipare alla spartizione della torta»: falso. «Occorre un ricambio generazionale»: vero, dunque guardati in casa.
Filippo Facci
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