Per quanto si sia nell'epoca del selfie, scrive Simon Schama al termine del suo monumentale Il volto di un impero (Mondadori, trad. di Massimo Parizzi, pagg. 663, euro 40), più che «tutti Narcisi, siamo tutti Eco. Non siamo mai stati più in rete di oggi, eppure non siamo mai stati più di oggi intrappolati nel solipsismo». Soprattutto, quello che si va sempre più perdendo, è il contatto visivo, face à face, lo scambio di sguardi, l'incontro con l'altro, tutto ciò che un filosofo come Emmanuel Lévinas riteneva la pratica fondamentale della nostra umanità, ovvero «l'inizio dell'etica, la condizione indispensabile dell'empatia, la capacità di sperimentare il mondo attraverso qualcosa di più della nostra persona isolata». Gli occhi, si sa, sono la sola parte del corpo che non invecchia, il che spiega il detto che siano «lo specchio dell'anima», ma la sensazione è che la postmodernità in cui viviamo abbia perso la profondità dello sguardo.
Nell'era della fretta, Simon Schama si è messo a osservare con l'attenzione che meritano dipinti e fotografie dei secoli passati. Utilizzando come fosse una personale pinacoteca la National Portrait Gallery di Londra, ha ripercorso la storia dell'Inghilterra, dai Tudor ai nostri giorni, e con essa la costruzione di un'identità, una tradizione e una memoria condivise: re e regine, politici e letterati, filosofi e cortigiane, suffragette e pop star. Lo ha fatto utilizzando sempre e soltanto la ritrattistica perché, come già osservava nel XVIII secolo il pittore Jonathan Richardson, i ritratti non si limitano a raccontare la storia del soggetto rappresentato sulla tela, ma ne tramandano il ricordo, cristallizzano un istante del presente, ma lo proiettano nel futuro.
«L'Inghilterra attraverso i suoi capolavori» recita il sottotitolo del volume, non a caso riccamente illustrato, una miriade di ritratti per cercare di delineare un carattere nazionale, ben consapevole che il carattere di una nazione non è altro che la sua storia e, in fondo, nient'altro che la sua storia. Si prenda il ritratto di Sir Francis Drake che nel 1588 arriva a Ferrara, via Parigi, e viene qui rinfrescato perché durante il viaggio in carrozza i colori si sono sbiaditi. Ne dà conto, stupito e lusingato, un agente inglese della Repubblica veneta al suo capo, Sir Francis Walsingham, che è anche il segretario di Stato della regina Elisabetta. Perché, si chiede Schama, una città «in cui l'arte significava Il festino degli Dei di Giovanni Bellini, ultimato da Tiziano, e i bellissimi enigmi pittorici di dosso Dossi» fa la fila per vedere «il Drago, quel gran corsaro inglese»? Quel 1588 è la vigilia di ciò che sarà di lì a poco il disastro della Invencible Armada, la flotta spagnola salpata dalla Fiandre con a bordo l'esercito d'invasione dell'Inghilterra. Fino ad allora, Drake è stato innanzitutto uno dei capitani della flotta di John Hawkins, dedita al commercio degli schiavi e a razzie che quando però trova sulla propria rotta navi e colonie dell'impero spagnolo considera quest'ultime come «nemiche della sua religione», e quindi legittimi «atti di guerra» il metterle a ferro e a fuoco, «una doppia vocazione di criminale e lettore delle Scritture» chiosa Schama, «devozione e pirateria che si rafforzavano a vicenda».
La regina Elisabetta ha nominato Drake Cavaliere nel 1581, dopo una circumnavigazione che dallo stretto di Magellano è arrivata sino alla costa settentrionale della California e che fra laltro gli ha permesso la cattura del veliero spagnolo soprannominato Cagafuego, con il suo carico di lingotti d'oro pari a un quinto delle entrate annuali della corona inglese. L'investitura è arrivata sul ponte della Golden Hind, la nave ammiraglia di Drake, e la spada per la nomina è stata porta dalla regina Elisabetta all'ambasciatore francese, perché ancora si pensa di poter cooptare la Francia nell'alleanza antispagnola.
Nel ritratto ferrarese, Drake ha le maniche rigate d'argento ed è vestito di seta color corallo. Il copricapo è piumato, come è costume dei più grandi comandanti e difensori del regno, e il braccio destro è appoggiato su un globo, simbolo già usato da Carlo V di Spagna in quanto emblema di impero universale. «Il suo trasferimento al padre effettivo dell'impero inglese», scrive Schama, «è di per sé una proclamazione pittorica».
La leggenda di Drake culminerà nei secoli nel mito del «tamburo fantasma che, si diceva, era stato portato nel suo giro del mondo e batteva da solo ogni volta che un pericolo minacciava le coste d'Albione». L'ultima volta che fu sentito, scrive divertito Schama, fu nel 1966, «quando il nemico in arrivo si pensava fosse la squadra di calcio tedesca alla coppa del Mondo...». E questo spiega perché gli inglesi giocano a pallone come se andassero all'abbordaggio e come in quel mondiale ci fu da parte loro più di un atto di pirateria calcistica.
Se è l'impero a trasformare i pirati in gentlemen, è la bellezza il trampolino di lancio con cui da prostitute si diventa ladies. Il fenomeno non è esclusivamente inglese, le cortigiane sono un genere internazionale, ma oltremanica, una volta messo a morte il re con largo anticipo rispetto alla Rivoluzione francese, il venir meno di una monarchia assoluta e di una corte chiusa nei suoi privilegi favorisce la politica come intrattenimento, e quindi caricatura, Hogarth e la sua strepitosa serie intitolata La carriera di un libertino, la caccia e i clubs come nuove espressioni della socialità e la messa a frutto, tramite il marketing, stampe e incisioni, riviste e pettegolezzi, per fare della propria bellezza una professione. Nel Settecento, scrive Schama, «il sesso a Londra poteva mettere insieme il nobile e la giovane della classe lavoratrice in modi che facevano inorridire gli stranieri increduli, più abituati a tenere amanti e cortigiane ben lontane dalla pubblica vista. L'attrice o attricetta di una settimana poteva divenire la settimana seguente la contessa di questo o quello shire senza che nessuno a St James Park lo giudicasse scandaloso». Kitty Fischer, che l'italiano Giacomo Casanova si vede offrire per la non modica cifra di dieci ghinee, e che lui rifiuta perché, per quanto incantevole, parlava solo inglese, riesce a farsi ritrarre da un pittore come Reynolds, l'artista più eminente della buona società, e sposa John Norris signore di campagna e membro del Parlamento. Emma Hart, arriva direttamente dal bordello alla casa del conte di Warwick, viene da questi ceduta allo zio, Sir William Hamilton, ambasciatore a Napoli, che aveva quarant'anni di più, riesce a farsi sposare per poi divenire l'amante di Lord Nelson, un ménage à trois complicato dal fatto che la moglie, abbandonata, di quest'ultimo, aveva rifiutato qualsiasi forma di divorzio. «L'Inghilterra», osserva Schama «non ripudiò l'ammiraglio e la sua amante. L'aspetto di lei ritratta in mille pose e in mille ritratti divenne tutt'uno con le imprese di lui».
Il volto di un impero mette insieme personalità e emozioni, aneddoti e ricordi, coraggio, amore e ambizione.
C'è Winston Churchill dipinto da Graham Sutherland e ci sono le cartes de visite della Regina Vittoria in lutto, le stampe satiriche di James Gillray e del già citato Hogarth, Enrico VIII ritratto da Holbein il giovane e John Lennon fotografato da Anne Leibovitz poche ore prima di essere assassinato. Una storia nazionale esemplare nonché una biografica storia dell'arte.
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