Non poteva essere intitolata in maniera più opportuna questa antologia di poesia religiosa, Versi a Dio (Crocetti Editore, pagg. 338, euro 30, a cura di Davide Brullo, Antonio Spadaro e Nicola Crocetti, traduzioni di vari autori, in parte dei curatori stessi). L'idea è di raccogliere testi da tutto il mondo e da tutte le epoche che riflettano la tensione umana verso il divino. Opera compiuta egregiamente attraverso un lavoro di squadra che ha coinvolto lo scrittore, poeta e critico letterario (e collaboratore di queste pagine) Davide Brullo, Nicola Crocetti, il principale editore di poesia in Italia, e padre Antonio Spadaro, già direttore della rivista La Civiltà Cattolica e da poco nominato da Papa Francesco sottosegretario del Dicastero vaticano per la cultura e l'educazione.
Il libro si apre con una Lettera ai poeti di Papa Francesco; il pontefice li definisce «occhi che guardano e che sognano», «voce delle inquietudini umane» e «coloro che plasmano la nostra immaginazione». Una missione non da poco, e che da un punto di vista cattolico richiama l'importanza di comunicare il messaggio evangelico.
Attenzione, però. Questa non è un'antologia destinata soltanto ai cattolici, né soltanto alle persone di fede. Anche gli agnostici, anche gli atei vi possono attingere, non fosse che perché molti dei testi provengono da epoche e da luoghi dove nessuna religione organizzata aveva ancora visto la luce. Spiega Spadaro: «Le liturgie sono state spesso accompagnate o seguite dalla poesia» e «In rari casi la poesia si genera proprio perché la liturgia è impedita». Di fatto l'espressione poetica scaturisce da una necessità spirituale. Rifacendosi a un altro gesuita, il critico letterario Henri Bremond, per stabilire la relazione fra poesia e preghiera e a proposito dell'affinità fra sentimento religioso e ispirazione poetica, Spadaro osserva che fra le due esperienze sussistono analogia e continuità. La preghiera non è necessariamente poesia, ma la poesia tenderebbe a raggiungere la preghiera.
Dai frammenti che ci pervengono da popolazioni antiche, dai Pigmei dell'Africa equatoriale agli Apache in America del Nord, dai Dinka del Sudan fino agli Iacuti della Siberia settentrionale, è presente il topos comune dell'invocazione a un Dio sole. Poi ci sono fonti più recenti che fanno riferimento a un autore preciso, o a un'autrice, come nel caso della deliziosa Antal, la poetessa indiana di etnia Tamil che nel IX secolo dopo Cristo scriveva: «Il loto si impenna al nascente sole/ il giglio sigilla i suoi petali;/ vestiti di zafferano e cenere/ gli asceti percorrono la via/ verso il sacro tempio, per suonare/ la conchiglia di buon auspicio».
Attraversando i continenti e venendo all'Europa, incontriamo il fiume immenso dei nostri Antichi, Grecia e Roma. E qui le invocazioni agli dei abbondano. Scegliamo quelle alla dea dell'Amore, per esempio quella di Saffo ad Afrodite, a cui la poetessa chiede «e ciò che il mio cuore desidera si compia/ portalo a compimento, e tu stessa/ sii mia alleata»; e quella di Lucrezio a Venere, nel De rerum natura, che più classica non si può, vista la sua attualità: «A maggior ragione, dea, concedi alle mie parole/ un'eterna bellezza e fa' che sul mare e sulla terra/ si plachino le opere feroci della guerra». Magari... I versi del buddhismo, del taoismo, del confucianesimo e dello shintoismo hanno in comune il fatto di non essere invocazioni a un Dio, ma illuminazioni sull'anima, e sulla natura, quella umana compresa.
Della Bibbia sappiamo già, basterebbe citare i Salmi, un esempio di come ci si possa rivolgere a Dio attraverso immagini poetiche. Alcune fra le pagine più belle di questo volume sono frutto della mistica cristiana. La scelta d'includere il Cantico delle creature sarebbe stata scontata (e qui di opzioni scontate non ce ne sono). Di Francesco d'Assisi leggiamo invece la formula di esortazione e lode che si chiude su due versi di sintesi folgorante: «Astinenza dal male/ saldatevi nel bene». Per non parlare della spinta ascetica, quasi erotica, di Fiamma d'amor viva di san Giovanni della Croce.
Il libro si legge in qualunque ordine e direzione, anche aprendolo a caso, come un I Ching, un testo divinatorio. Che ci s'imbatta in una sura del Corano o in un componimento del grande poeta arabo-siciliano Ibn Hamdis («Vedo le Pleiadi sorgere, e sembrano un vezzo di sette perle, di cui hai fatto collana»), si potrà concordare su quanto scritto nel Seicento, in un lampo accecante, dall'umanista enciclopedico tedesco Daniel Czepko: «Accade che Dio e l'uomo irrompano insieme». Resta il fatto che il poeta si rivolge sempre a qualcuno.
«Il poema tende a un Altro, esso ne ha bisogno, esso ha bisogno di un interlocutore: lo va cercando» ha scritto un altro poeta tedesco di origine rumena, Paul Celan, ateo e morto suicida nel 1970. «Ogni oggetto, ogni essere umano, per il poema che è proteso verso l'Altro, è figura di questo Altro». Comunque lo vogliamo definire, si tratta pur sempre di un richiamo a un'essenza pura.
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