"Deterrenza ristabilita, non ci sarà escalation". Intervista a Giampiero Massolo

Il diplomatico: "Si è scelto di non infliggere danni. Voto Usa decisivo"

"Deterrenza ristabilita, non ci sarà escalation". Intervista a Giampiero Massolo
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Giampiero Massolo, ambasciatore e diplomatico di carriera, già segretario generale della Farnesina e autore del saggio Realpolitik edito da Solferino, ne è certo: «Netanyahu sta cercando di ristabilire la deterrenza, più che infliggere un danno all'Iran».

Ambasciatore, perché gli Stati Uniti parlano di autodifesa di Israele?

'Perché si è scelto, avvertendo gli americani, di colpire quegli impianti militari che erano di produzione, di batteria o schieramento dei missili che avevano colpito Israele il primo ottobre. Ciò ha provocato due effetti: uno americano, che diceva 'noi siamo accanto a Israele, reazione legittima e proporzionata', quindi 'Teheran non agire ulteriormente perché ci siamo noi'. In più gli Usa avevano completato il dispiegamento in Israele di una potente batteria antiaerea, con 100 militari statunitensi, dando un segnale preciso all'Iran bombardando gli Houti, esattamente con quel bombardiere B-1 che sarebbe stato necessario per colpire i siti nucleari iraniani, ove fornito agli israeliani, ma così non è stato».

In Libano Netanyahu ha dato prova di forza eliminando le prime file di Hezbollah. Perché in Iran si è «limitato» a colpire siti militari?

«Le armi per attaccare le installazioni nucleari Israele non le ha. Da soli possono fare solo azioni dimostrative su quei siti. Colpire quelli petroliferi avrebbe invece comportato una conseguenza

rilevantissima sul mercato dei prodotti energetici, il prezzo del petrolio sarebbe andato molto in alto, gli iraniani avrebbero potuto bloccare il flusso dallo Stretto di Hormuz e non conviene a nessuno turbare i mercati».

Se vincesse Trump, Netanyahu avrebbe quella sponda non concessa da Biden per dire «ora colpiamo anche gli impianti nucleari»?

«Netanyahu spera in Trump, ritiene di avere maggiore mano libera con lui e in parte l'avrebbe: anche Trump come lui percepisce la debolezza di Teheran e anche lui è portato a spingere oltre le linee rosse per cercare di mettere almeno a medio termine l'Iran in condizione di non nuocere».

Trump è anche il padre degli Accordi di Abramo, di quel riassetto del Medio oriente che passa dalla normalizzazione tra Israele e Arabia Saudita. Cosa c'è da aspettarsi?

«Quegli accordi postulano la partecipazione attiva dei Paesi arabi moderati sunniti. Qualora Israele esagerasse, alcuni regimi avrebbero difficoltà nelle opinioni pubbliche. Netanyahu nella sua logica fa bene ad aspettare Trump, ma non è detto che gli firmi un assegno in bianco. Al di là degli obiettivi tattici del governo israeliano, che sono mettere Hamas in condizione di non aver voce in capitolo, riportare gli ostaggi a casa affidandosi alla forza e non al negoziato, istituire una zona di rispetto nella parte Nord di Gaza, riportare gli sfollati nelle case in Israele nord, istituire una zona di rispetto in Libano meridionale ed esercitare deterrenza efficace nei confronti di Teheran, c'è quello basato sulla constatazione della scarsa capacità di reazione dell'Iran e dei suoi proxy, di volgere a proprio vantaggio i rapporti di forza nella regione».

L'Iran ha parlato di danni irrilevanti, i pasdaran minacciano. Cosa significano certe parole?

«Che non vedo prossima un'escalation, mettiamola così».

Fino a dove si potrà spingere Bibi? L'annichilimento totale dei Guardiani della Rivoluzione è ipotizzabile?

«No, equivarrebbe a una guerra aperta, a una regionalizzazione del conflitto, alla sua globalizzazione, che non è interesse di nessuno».

Neppure con Trump alla Casa Bianca?

«No, perché Trump ha un ulteriore interesse strategico, riportare i 'ragazzi' a casa e concentrarsi sull'Estremo oriente, sulla Cina, sull'Indo-Pacifico. E non si può fare se hai il Medio oriente non stabilizzato».

Crede a un regime change in Iran che venga dall'interno del Paese?

«I fattori di fragilità ci sono, ma non mi sembra alle viste, l'opposizione non è organizzata, è di popolo».

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