Erdogan vuole un posto nei Brics (ma non rinuncia all'Europa)

Ankara ha inoltrato la sua richiesta per entrare nel novero delle economie emergenti. Una notizia attesa da tempo, che potrebbe allargare la proiezione estera della Turchia verso est

Erdogan vuole un posto nei Brics (ma non rinuncia all'Europa)

La schizofrenia turca è tornata, ammesso si fosse mai ammorbidita. Solo pochi giorni fa, dopo ben cinque anni, rappresentanti del governo turco erano tornati a partecipare a un vertice dell'Unione Europea, su invito di Bruxelles. Oggi, la batosta. La Turchia ha presentato domanda di ingresso nei Brics, al fine di accodarsi a Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, nel novero delle economie emergenti.

La richiesta turca di entrare nei Brics

Il sospetto aleggiava da tempo. Si tratterebbe di un'ipotesi molto proficua per Ankara, che vedrebbe il proprio ombrello aprirsi decisamente verso est, potenziando la proiezione della Turchia nel mondo globale, slegandosi dal vetusto ruolo di ponte fra est e ovest. Il 10 giugno scorso, del resto, il ministro degli Esteri turco Hakan Fidan aveva presenziato ai lavori del summit dei ministri degli Esteri Brics come ospite, invitato speciale del Cremlino. In quell'occasione, una frase più delle altre era suonata sibillina: Fidan aveva definito il gruppo "un'alternativa all'Unione Europea". Quanto basta, per Erdogan, a ipotizzare di giocare in due squadre, senza abbandonare il sogno di un'unione doganale con l'Unione Europea, ma tenendo in conto tutte le opzioni di crescita economica che sono necessarie alla Turchia.

Negli ultimi otto mesi anche i Brics hanno presentato la loro campagna acquisti, invitando Argentina, Etiopia, Iran, Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Poche settimane fa anche la Palestina ha presentato una domanda di ingresso. Spesso descritto come un'alternativa al G7, secondo molti economisti i Brics sono destinati a costituire un'organizzazione in crescita nei prossimi anni. Accanto a questo si affiancano delle ottime notizie per quanto riguarda Ankara, e che arrivano dritte dritte da Moody's. Dopo le elezioni parlamentari del maggio 2023, la Turchia ha assistito a un cambiamento significativo nella sua politica economica e monetaria. Erdogan ha invertito la sua precedente politica che aveva portato al crollo della lira turca. Ha, dunque, nominato nuovamente Mehmet Şimşek come ministro delle finanze, il quale ha poi riunito un team di esperti per guidare la banca centrale e altre istituzioni chiave.

Gli ottimi risultati dell'economia turca

Questo team ha rapidamente introdotto politiche fiscali e monetarie restrittive, aumentando i tassi di interesse ufficiali e smantellando le complesse politiche finanziarie che sostenevano i bassi tassi di Erdogan. Riforme che hanno iniziato a dare risultati, con l'inflazione che sembra aver raggiunto il picco e destinata a scendere, la lira che si è stabilizzata e il deficit delle partite correnti che si è più che dimezzato rispetto all'anno precedente. La fiducia degli investitori è migliorata e si è avviato un processo di de-dollarizzazione.

Grazie a queste dinamiche, la banca centrale ha potuto ricostituire le riserve valutarie. Per il 2024, la Turchia è considerata una delle opportunità di investimento più interessanti, con aspettative che la banca centrale manterrà alti tassi di interesse per abbattere l'inflazione, che potrebbe scendere dal 75% attuale al 35-40% entro fine anno, e tra il 10% e il 20% entro la fine del 2025. Tuttavia, rimane il rischio che Erdogan possa cambiare idea e abbandonare le nuove politiche ortodosse, come fece nel 2021 licenziando l'ex governatore della banca centrale Naci Agbal. Una mossa simile con Şimşek e il suo team potrebbe portare a una crisi sistemica.

Il desiderio di nuova proiezione è espresso anche dagli investimenti in corso in questi mesi. Il governo turco ha annunciato un pacchetto da 30 miliardi di dollari di incentivi per lo sviluppo dell'industria high-tech, il più grande nella storia del Paese, segnando un nuovo capitolo nel percorso di sviluppo tecnologico voluto dal presidente. Il leader turco sta spingendo affinché la Turchia non rimanga indietro in settori cruciali come l'intelligenza artificiale, le biotecnologie, le informazioni satellitari e le energie rinnovabili. "Non si tratta solo di stimolare l'economia" ha dichiarato Erdogan presentando il provvedimento, "ma di assicurare alla Turchia una posizione di primo piano nella competizione tecnologica globale. Il nostro obiettivo è trasformare il Paese in un centro per l'innovazione."

Giocare su due tavoli: può funzionare?

Il piano prevede una serie di misure, tra cui esenzioni fiscali, prestiti a tassi agevolati e finanziamenti per piccole e medie imprese, nonché per startup attive nel campo dell'innovazione. Sono inoltre previste agevolazioni burocratiche e fiscali per le aziende straniere interessate a investire in Turchia. La proposta è stata accolta favorevolmente da molti imprenditori, anche se rimangono dubbi sulla capacità del Paese di attrarre competenze dall'estero e trattenere i cervelli, fondamentali per trasformare queste misure in un successo duraturo.

Alla luce di tutto ciò, Erdogan preferisce "mangiare a entrambi i matrimoni", senza che questo sia sintomo di allontanamento dall'Occidente, del quale seguita ad avere bisogno. Più di altri ci evidenzia come le istituzioni globali tradizionali, come le Nazioni Unite e l'Organizzazione mondiale del commercio, sono sempre più considerate obsolete, il che ha portato alla nascita di piattaforme alternative come il Quad o i Brics in espansione, noti come Brics Plus.

Operando questa triangolazione la Turchia mira a occupare un ruolo unico, che non tutti i Paesi possono raggiungere. Quanto peserà politicamente lo deciderà quanto i Brics guadagneranno in fatto di influenza politica nel prossimo futuro.

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