Il giorno del giudizio per il sogno di Le Pen. L’Eliseo a rischio (e il piano Bardella)

Una condanna chiuderebbe la carriera politica di Marine. Ma il "delfino" è pronto

Il giorno del giudizio per il sogno di Le Pen. L’Eliseo a rischio (e il piano Bardella)
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Lo spettro dell'ineleggibilità volteggia su Marine Le Pen. Questa mattina un tribunale francese deciderà infatti se la leader del Rassemblement National, in testa in tutti i sondaggi, potrà correre o no per l'Eliseo per la quarta volta. Presidenziali previste nel 2027, con la certa assenza di Macron e un candidato forte nell'area centrista già in campagna elettorale. Si tratta dell'ex premier Édouard Philippe, il primo capo del governo indicato a suo tempo da Macron, oggi leader di Horizons e sindaco a Le Havre.

Oltre ai due anni di carcere chiesti per l'accusa di appropriazione indebita di fondi pubblici europei tra il 2004 e il 2016, la procura a novembre ne ha pretesi cinque di ineleggibilità immediatamente esecutivi, per Le Pen. Alla vigilia della sentenza che può cambiare il corso della sua parabola politica (e la traiettoria di una Francia che guarda a destra perfino nelle politiche del governo centrista di Bayrou su giustizia e immigrazione) «BleuMarine» ha affidato il suo stato d'animo a La Tribune: «Con l'esecuzione provvisoria (senza cioè attendere l'esito di eventuali ricorsi, ndr), i giudici hanno diritto di vita o di morte sul nostro movimento, ma non credo arriveranno a tanto, non sono nervosa, capisco però che qualcuno potrebbe esserlo...».

La sentenza potrebbe anche solo «congelare» la sua candidatura, accorciando l'ineleggibilità a un anno o due anziché cinque. Così facendo la corsa si «salverebbe». Ma l'immagine? Le toghe potrebbero assolverla o anche condannarla senza «esecuzione provvisoria». O accogliere in toto le richieste accusatorie privandola così dell'Eliseo (restando parlamentare). L'ultima rilevazione le attribuisce il 37 per cento al primo turno. Percentuale con cui entrerebbe nel club dei candidati con più del 30 al prima tornata, unendosi a Mitterrand (34 nel 1988) e Sarkozy (31 nel 2007) per i quali si aprirono poi i cancelli del Palazzo. Per lei e altri 24 imputati lepenisti potrebbero spalancarsi quelli di un istituto di pena. Non a caso, da fine novembre il suo delfino e presidente del Rn, Jordan Bardella, batte città medie e piccole dell'Esagono approfittando dell'uscita del suo libro Ce que je cherche («Quello che cerco»). Piano B pronto. La condanna decapiterebbe «solo» la vecchia guardia.

Ma come si arrivati a un processo che in caso di condanna potrebbe spingere parte degli 11 milioni di elettori lepenisti in piazza? Accuse piuttosto circostanziate: Marine sarebbe stata a conoscenza di una sorta di prassi fraudolenta del partito. Lo proverebbe una mail dell'allora tesoriere Wallerand de Saint-Just che tira in ballo proprio Le Pen, rispondendo a un eurodeputato perplesso sull'operazione «Marine lo sa». Mail e messaggi la inchioderebbero: protagonista di un «sistema» ereditato dalla gestione paterna, che lei avrebbe portato avanti. In una riunione del 2014, secondo l'accusa, avrebbe detto agli eurodeputati di non scegliere gli assistenti parlamentari; come dire, altre persone prenderanno quei soldi per lavorare a Parigi, non a Bruxelles o Strasburgo. Guardie del corpo, grafici, segretari pagati con euro-fondi. All'epoca era ancora Front national. Dieci anni di indagini, per gli inquirenti, hanno portato alla luce un «sistema» che ha consentito di sottrarre circa 3 milioni di euro. Uno restituito senza ammissione di colpa. L'Europarlamento è parte civile. Nessun competitor finora ha cavalcato le accuse.

La ministra macroniana del governo Bayrou, Aurore Bergé, si limita a dire: «Quella attesa non è una decisione politica ma di giustizia, non sarò né soddisfatta né scioccata dalla sentenza». Ma la Francia si prepara a dividersi in caso di condanna.

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