L’audacia di un cammino che stavolta può davvero cambiare il Medioriente

L’intervento del presidente Usa è la variante necessaria per la svolta storica

L’audacia di un cammino che stavolta può davvero cambiare il Medioriente

Non è stata solo una svolta strategica per Israele e gli Usa, ma un momento storico, l'epilogo di un'era di bugie, l'inizio di un cammino a occhi aperti che può cambiare del tutto il Medioriente. È successo quando Trump ha detto: «Israele ha combattuto eroicamente. Gli israeliani hanno resistito forti e uniti di fronte a un nemico che ha rapito, torturato, macellato donne e bambini innocenti. Saluto il popolo d'Israele». Ognuna di queste parole è la base della svolta, simile alla dichiarazione Balfour che nel 1917 riconosce agli ebrei il diritto alla creazione d'Israele, simile alla guerra d'Indipendenza vinta nel 1948 rispondendo all'assalto di tutti i Paesi Arabi dopo la risoluzione dell'Onu. «Del 7 di ottobre - ha detto Trump - si è cercato di negare la realtà, come di quella della Shoah». Da qui la logica negata per decenni e non solo dal sette di ottobre del riconoscimento del terribile continuo, incessante, terrorismo palestinese, del il pietismo, della ricerca patetica di «appeasement» che ha tolto ogni valore alla risposta indispensabile a questo male altrimenti inestirpabile, quello che dopo la strage ha trasformato le camere dei bambini in armerie e gli ospedali in lanciamissili. La guerra di difesa tanto criticata con le richieste continue di Biden di cessate il fuoco, con le accuse sulle condizioni umanitarie mentre i camion di aiuti finivano in mano a Hamas, lo svisamento dell'aiuto dei civili, dell'Unrwa, della Croce Rossa alla nukba è stata mostrata nuda: un'aggressione a Israele nel contenuto e nello svolgimento. E contro, il valore dei soldati che hanno vinto la guerra, anche a costo della vita. Da qui la cura su cui i due leader hanno trovato un accordo senza precedenti fra Usa e Israele: la restituzione degli ostaggi e l'annientamento di Hamas.

È la quadratura del cerchio, dato che fino a ieri l'accordo che peraltro costringe Israele a molte difficili concessioni, sembrava impossibile da coniugare con la sconfitta totale di Hamas. Ma Trump è la variabile necessaria: Gaza non esiste più, è un cumulo di rovine da riabilitare con anni di lavoro. Senza Hamas, con l'Arabia Saudita, e con altri Paesi arabi moderati che insieme disegnino un Medio Oriente da cui il terrorismo è espulso. Certo, sauditi, giordani ed egiziani, per principio biasimano il piano per cui Trump vuole veder partire i gazawi per ricostruire la Striscia, avendo a disposizione tempo, spazio, fiducia di chi ci si impegna. Per i «no» al piano sono un ostacolo; inoltre Hamas si può opporre con le armi che le sono rimaste e infierire sui rapiti, ma ha voglia davvero di vedere la reazione «violenta»

come ha detto Trump se i rapiti non tornano? La Giordania e l'Egitto e forse il Qatar e la Turchia, possono rispondere a lungo con un «no» alle richieste americane accompagnate sempre dal mercanteggiamento e dalla minaccia. L'idea, fino a ieri sconosciuta, che l'America sovrintenda direttamente alla Striscia in fase di riabilitazione è reale?

Trump non scherza, e lo fa pensare l'immediata risposta dell'Iran a Trump che insieme a Netanyahu ha promesso ancora che l'Iran non avrà la bomba atomica; intanto era partito uno dei suoi micidiali executive order per nuove sanzioni agli ayatollah; e una risposta iraniana ha avvertito il presidente che l'Iran, nel caso Trump voglia trattare sul nucleare, è pronto a compromessi. Ma il maggior motore della grande minaccia terrorista in Medio Oriente mente volentieri, Trump e Netanyahu cercano un nuovo orizzonte in cui si smetta di raccontare bugie pacificanti sulla disponibilità palestinese, contraddetta dalla storia di Arafat, di Abu Mazen, di Hamas che mai hanno voluto «due stati per due popoli». Adesso, l'idea di spostare dalla Striscia almeno una parte dei palestinesi mette un punto almeno su Hamas; su Fatah, bisognerà vedere quanto si intenda usarla come moneta di scambio: Israele non accetterà uno «stato palestinese» fatto per distruggere il suo, ma nello stesso tempo potrebbe consentire la collaborazione con un'Autorità palestinese libera dalla presenza di Hamas e dall'influenza terrorista di Abbas, che non ha mai condannato il 7 di ottobre. I sauditi non hanno chiesto uno Stato palestinese, Trump ha detto, mentre parlava anche di quanto Israele sia piccolo a fronte di un Medio Oriente enorme e minaccioso. Quindi, sulle annessioni in Giudea e la Samaria ha chiesto due mesi per pensarci, eliminando la lectio vulgaris per cui dici «colono» e intendi delinquente: colpa dell'Onu, che per iniziativa di Obama ha dichiarato illegali gli insediamenti contro le proprie stesse risoluzioni dell'Onu. Intanto Trump ha lasciato la commissione per i diritti umani di cui l'Iran ha la presidenza del blocco africano asiatico.

È la grande criminalizzazione di Israele, l'abbandono in mano al terrore, di cui si rimettono adesso in ordine le carte: i terroristi sono terroristi, la guerra di difesa è valorosa e ha vinto, i rapiti devono tornare. Tutti, adesso, e intanto Hamas deve essere eliminata. Perché Israele è la patria degli ebrei, e il presidente americano lo sa.

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