L'addio di Hollywood a Barbie: meno lezioncine e più film per i repubblicani

Negli Stati Uniti film come Twisters e il Gladiatore II puntano a riportare al cinema gli spettatori degli Stati rossi più contrari alle pellicole con messaggio socio-politici

L'addio di Hollywood a Barbie: meno lezioncine e più film per i repubblicani
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Colpo di scena ad Hollywood. Tramontato il fenomeno Barbenheimer che l’estate scorsa ha fatto riflettere sul femminismo e sulle paure per una guerra nucleare, i dirigenti dell’industria dei sogni americana hanno deciso di invertire la rotta scommettendo sulla voglia di divertirsi del pubblico. Gli ultimi due decenni sono stati segnati da una forte attenzione a importanti tematiche come la lotta al riscaldamento climatico, i diritti delle minoranze e quelli riproduttivi, i quali hanno trovato ampio spazio nel mondo del cinema allontanando però dalle sale il pubblico degli Stati cosiddetti rossi che votano repubblicano. Ora dunque film impegnati e con messaggi socio-politici starebbero per lasciare il campo a produzioni decisamente più spensierate che strizzano l'occhio proprio agli elettori del Gop.

Primo esempio di questa nuova tendenza abbracciata da Hollywood è Twisters, una pellicola realizzata da Universal Pictures sui cacciatori di tornado in Oklahoma. Costata 155 milioni di dollari, nei primi tre giorni di programmazione ne ha incassati 82. Non a caso il successo di pubblico del film considerato una sorta di seguito del primo Twister del 1996, è stato trainato dai biglietti venduti negli Stati dell'America profonda guardati spesso con diffidenza, se non con disprezzo, dagli abitanti di quelli blu, California in primis.

Non mi piace che i film abbiano un messaggio”, ha dichiarato alla Cnn Lee Isaac Chung, il regista del blockbuster sui tornado, rispondendo così a chi lo ha accusato di non aver inserito riferimenti al cambiamento climatico in una storia su fenomeni naturali estremi. Gli ha fatto eco uno dei protagonisti, Glen Powell, che ha affermato come il senso del film riguardi lo scoprire “cosa siamo davvero davanti alla tempesta”.

Il cambio di passo ad Hollywood non è arrivato come un fulmine a ciel sereno essendo stato anticipato da Robert A. Iger, il chief executive Disney da cui dipendono Pixar, Marvel, Lucasfilm e 20th Century. “Per prima cosa dobbiamo intrattenere”, ha detto Iger diversi mesi fa. Parole che segnano un dietrofront rispetto al sostegno da lui stesso manifestato nel 2017 per pellicole in grado di promuovere determinati valori e influenzare il comportamento delle persone. Anche Paramount sembra voler seguire la linea Disney preparandosi a lanciare il sequel del Gladiatore mentre Netflix ha cominciato a vendere pubblicità preferendo contenuti il più possibile apolitici.

Come si può ben immaginare, la rivoluzione cinematografica è dettata da motivi economici. I cinema Usa, scrive il New York Times, non si sono ancora ripresi dalla pandemia. Gli introiti registrati fino ad ora nel mercato nordamericano non hanno ancora raggiunto quelli riportati nello stesso periodo del 2019. Di qui l’esigenza di puntare sugli spettatori degli Stati rossi, tra i primi ad essere tornati al cinema rispetto a quelli di altri Stati.

Non si può non menzionare comunque che negli Stati Uniti è in corso una competizione politica che sta mettendo a dura prova i nervi degli elettori. In una manciata di giorni gli americani sono stati investiti dalla martellante copertura mediatica di eventi clamorosi come l’attentato a Donald Trump, le dimissioni di Joe Biden e l'avanzata della vicepresidente Kamala Harris.

Se si aggiungono poi le polemiche sul politicamente corretto e sulla cancel culture che da anni infiammano il dibattito politico non solo in America, non stupisce che in fondo gli spettatori siano solo alla disperata ricerca di una tregua, almeno per qualche ora, dalla vita reale.

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