Migliaia di razzi sparati contro obiettivi israeliani. Commando palestinesi infiltrati nei territori dello Stato ebraico. Oltre 100 morti, centinaia di feriti e decine di ostaggi tra la popolazione. “Abbiamo deciso di porre fine ai crimini d'Israele”. Così Hamas, l’organizzazione islamista che controlla la Striscia di Gaza, presenta al mondo l’attacco senza precedenti che ha insanguinato l’alba del giorno di riposo dello Shabbat. Un’operazione che col passare delle ore assume contorni sempre più definiti e in cui, considerata la sua complessità, non può non aver giocato un ruolo il grande protettore del movimento radicale: l’Iran.
“Siamo in guerra con Hamas” dichiara il premier Benjamin Netanyahu parlando a nuora perché suocera intenda. Mentre è già scattata una controffensiva durissima – centinaia sono le vittime tra i palestinesi - ci si interroga se la furia delle forze di Tsahal rimarrà infatti confinata ai limiti territoriali della Striscia di Gaza. Teheran intanto getta benzina sul fuoco. Un consigliere della Guida Suprema Ali Khamenei citato dall’agenzia iraniana ISNA si è congratulato con i combattenti di Hamas rinnovando l’impegno a sostenerli “sino alla liberazione della Palestina e di Gerusalemme”. La televisione di stato ha mostrato inoltre membri del parlamento alzarsi in piedi e inneggiare alla “morte di Israele”.
Una reazione che non stupisce. Teheran finanzia Hamas da decenni, un’alleanza che si aggiunge a quella con Hezbollah in Libano. Entrambi i movimenti sono votati alla distruzione dello Stato ebraico e sono agenti del caos usati dall’Iran nel conflitto a bassa intensità in corso contro Israele. In passato il supporto nei confronti dell’organizzazione palestinese si esplicava anche nella fornitura di componenti per la costruzione di razzi ma il trasferimento di tale tecnologia che avveniva attraverso dei tunnel sotterranei tra Egitto e Gaza pare sia stato bloccato dal governo del Cairo.
Da parte loro gli israeliani conducono uccisioni di scienziati e attacchi hacker per ostacolare il programma nucleare iraniano temendo possa essere finalizzato allo sviluppo di una bomba nucleare. Sin dai primi anni di questo secolo Israele ha cercato di ottenere, senza successo, il via libera degli Stati Uniti a bombardare gli impianti destinati alla ricerca sull’atomo del regime degli ayatollah. Una soluzione che ha dei precedenti e ha visto le forze aeree di Tel Aviv distruggere nel 1981 il reattore nucleare di Osiraq in l’Iraq. Stesso modus operandi adottato nel 2007 contro l’impianto siriano di Deir ez-Zor.
Incassato il no della Casa Bianca e ritenendo le sanzioni internazionali non sufficienti, Israele ha fatto ricorso quindi all’utilizzo di Stuxnet, un virus informatico che ha sabotato le centrifughe di Teheran rallentando il suo programma nucleare. Archiviato l’accordo sul programma iraniano voluto da Barack Obama e rinnegato dal suo successore Donald Trump, con Netanyahu al potere, secondo le indiscrezioni di stampa, l’opzione dell’attacco preventivo ha preso nuovamente quota.
Lo scoppio della crisi attuale coglie Israele e Iran in un momento di forte tensione sociale - il primo per le contestazioni sulla riforma della giustizia, il secondo per le proteste scatenate dalla morte un anno fa di Mahsa Amini - che presenta delle incognite qualora si arrivasse ad un’escalation diretta tra i due nemici storici.
Qualche mese fa decine di componenti riservisti del Battaglione 69, un’unità aerea impegnata tra le altre proprio nella missione contro il reattore siriano, hanno interrotto l’addestramento e si sono rifiutati di prendere servizio in segno di protesta. Un pericoloso segnale per Israele che arriva più fragile che mai all’appuntamento con l’ora più difficile.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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