È la domenica delle salme, quelle perdute e quelle che verranno. È il 17 marzo e nessuno dovrebbe restare a casa. Si esce e si va in strada, lì dove si vota. L'appuntamento è per mezzogiorno, quando il sole perfino qui in Russia è più alto all'orizzonte. Ognuno nella sua città, nel suo quartiere, nel suo seggio elettorale. L'importante è farsi vedere, con il corpo e con l'anima, con gli occhi negli occhi di funzionari e militari, di chi per vergogna si volta dall'altra parte, di chi alza le spalle se dici che è tutta una finzione, una messinscena che non serve neppure a lavarsi la faccia.
La democrazia nella Russia di Putin è semplicemente grottesca. È farsa. È menzogna. È il sigillo beffardo su una dittatura assassina. Allora si va laggiù dove si vota, ma senza votare. È l'appello di Yulia Navalnaya, la vedova di Alexey Navalny, con un video che scorre e rimbalza in ogni angolo della rete, con la speranza che serva a qualcosa, perché per quanto rumore virtuale e reale si possa fare non è mai stato facile svegliare l'immensità della Russia, dove il potere rivoluzione dopo rivoluzione resta sempre assoluto. Quella di Yulia è ancora un'altra speranza e questa volta porta il segno dell'astensione. Ci sono, mi vedi, ma non mi faccio contare. Ci sono per dirti che siamo in tanti anche se la nostra opinione adesso non pesa nulla. Il non voto come rivolta, come ribellione, come incanto. Non servirà a decapitare Putin, ma è resistenza umana. È non sentirsi complici. È ricordare al potere che non avranno tutti. Non moriranno putiniani.
È la stessa disobbedienza che si respira in Iran. Neppure qui è servito a scacciare gli ayatollah. Il sogno era un numero quasi impossibile, un 75 per cento di non votanti. Ci si è accontentati del 60. Le città hanno boicottato, le campagne sono andate al voto. Quel 75 sembra un numero magico, perché evoca il Saggio sulla lucidità di José Saramago, il romanzo che racconta la rivolta silenziosa dei dissenzienti. «Siete voi, sì, soltanto voi, i colpevoli, siete voi, sì, che ignominiosamente avete disertato dal concerto nazionale per seguire il cammino contorto della sovversione, della indisciplina, della più perversa e diabolica sfida al potere legittimo dello Stato di cui si abbia memoria in tutta la storia delle nazioni». È la risposta del potere che non si aspetta la resistenza dei fantasmi. Non serve? Forse. Ma è educazione a dire no. Si impara a dire no. Si va contro dicendo no.
Il non voto è una dichiarazione di contrarietà.
Non è la stessa astensione che grava sull'Occidente. Se qualcuno dice che gli assomiglia non ne vede i costi. Il non voto in Russia o in Iran ti mette all'indice. Ti segna tra i nemici. È un atto di coraggio. È mettere la faccia contro la dittatura.
L'astensione in democrazia è anche protesta, non c'è dubbio. I costi però sono immensamente minori. Non sei un nemico, sei solo un'assenza, fino a mostrarti come una maggioranza che non conta, una maggioranza ipotetica.
È poi il non voto della disillusione, della stanchezza o della rinuncia, il gesto di chi dice che tanto non cambia niente, tanto le facce cambiano ma gli interessi sono sempre gli stessi. È l'astensione contro i gattopardi. È la sfiducia verso la malandata democrazia. In Russia e in Iran si combatte invece contro la dittatura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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