Avrebbe dovuto essere l'uomo che avrebbe liberato il Venezuela dalle pastoie del regime di Maduro. Invece, Edmundo Gonzalez Urrutia sarà costretto all'esilio in Spagna in seguito alla rivendicazione della vittoria del presidente socialista per un terzo mandato alle elezioni del 28 luglio scorso, il cui esito non è stato riconosciuto da Stati Uniti, Ue e da alcuni Paesi latinoamericani.
La scelta dell'asilo politico
Il governo di Madrid, infatti, concederà l'asilo politico all'ex candidato alla presidenza venezuelana, dopo che Caracas gli ha "concesso" una sorta di salvacondotto per raggiungere l'Europa. Secondo quanto riferisce La Vanguardia, il ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares ha confermato l'arrivo di Urrutia sano e salvo e ha spiegato che il politico venezuelano ha chiesto di avvalersi anche del diritto d'asilo che "ovviamente - ha sottolineato - il governo spagnolo esaminerà e concederà". Albares ha inoltre fatto sapere che "il governo spagnolo ha predisposto i mezzi diplomatici e materiali necessari per il suo trasferimento. effettuato su sua richiesta".
Una scelta di certo non libera da parte dell'ex ambasciatore venezuelano in Algeria tra il 1991 e il 1993, ma anche in Argentina dal 1998 al 2002 che, dopo venticinque anni di ascesa al potere del chavismo, era fortemente intenzionato a mettervi fine. Il candidato dell'opposizione alle presidenziali in Venezuela battuto, tra accuse di brogli e frodi, da Nicolas Maduro ha lasciato il Paese ieri con un aereo dell'Aeronautica militare spagnola, dopo che negli scorsi giorni era stato emesso a suo carico un mandato di arresto. La vicepresidente Delcy Rodriguez aveva poi confermato la partenza del 75enne ex candidato, sostenendo che "ha volontariamente chiesto asilo all'ambasciata spagnola a Caracas alcuni giorni fa".
"Una scelta personale"
Un'onta che si sta compiendo sotto gli occhi dell'opinione pubblica internazionale fin dalla campagna elettorale a suon di sgambetti, accuse montate ad arte, fino all'epilogo antidemocratico: la fuga di Gonzalez, infatti, arriva per un mandato di arresto spiccato da un giudice "anti-terrorismo", per accuse legate alla pubblicazione del sito internet in cui gli oppositori hanno caricato i dati delle presidenziali che dimostrerebbero la sconfitta di Maduro. Quasi un dovere storico quello della Spagna, che aveva indotto Pedro Sanchez a definire Gozalez un "eroe" che Madrid "non avrebbe abbandonato". Secondo quanto riportano fonti diplomatiche ai media locali, nell'operazione avrebbe avuto un ruolo chiave l'ex presidente spagnolo, Josè Luis Rodriguez Zapatero, che ha da tempo un canale di comunicazione aperto con Maduro. Le trattative si sono svolte nell'ambasciata spagnola a Caracas da un paio di settimane e si sarebbero accelerate nelle ultime ore, con la stessa vicepresidente Rodriguez come interlocutore del governo venezuelano.
Si tratta di una scelta personale, a quanto pare, presumibilmente legata ai timori per la propria incolumità e quella dei propri cari. La notizia ha, infatti colto di sorpresa buona parte del Paese, soprattutto sul fronte oppositore. Josè Vicente Haro, avvocato di Gonzalez Urrutia, aveva escluso con decisione l'ipotesi di una richiesta di asilo e di una fuga dal Venezuela. La decisione da Gonzalez Urrutia, aveva specificato alla stampa, era quella di "proteggersi" ma di "rimanere in territorio venezuelano, per poter difendere" la causa sostenuta dalla "maggioranza dei venezuelani", diceva Haro giorni fa. Il rifugio in un'ambasciata straniera in qualità di ospite, infatti, avrebbe affidato l'ex candidato a un tipo di protezione differente che avrebbe in qualche modo interrotto il rapporto diretto con il Paese e i venezuelani.
"Giurerà come presidente": parola di Machado
Nonostante tutto, per Gonzalez Urrutia potrebbe non essere finita qui. Il golpe del regime "non avrà successo" e il 10 gennaio prossimo "giurerà come presidente" legittimo, scrive in un post su X la leader dell'opposizione venezuelana, Maria Corina Machado. La vita di Gonzalez "era in pericolo, e le crescenti minacce, convocazioni, mandati di arresto e perfino i tentativi di ricatto e di coercizione a cui è stato sottoposto dimostrano che il regime non ha scrupoli né limiti nella sua ossessione di zittirlo e di cercare di sottometterlo", accusa ancora Machado, secondo cui "di fronte a questa realtà brutale, è necessario preservare la sua libertà, la sua integrità e la sua vita". E poi ha aggiunto: "Edmundo combatterà da fuori a fianco della nostra diaspora e io continuerò a farlo qui, al vostro fianco - conclude Machado - Venezuelani, questa lotta durerà fino alla fine e la vittoria è nostra".
Il caos con Argentina e Brasile
La vicenda ora smuove le sempiterne agitate acque dell'America latina: non è un caso, infatti, che nelle stesse ore in cui l'ambasciata argentina di Caracas subisce le medesime vessazioni da parte delle autorità venezuelane. Dalla serata di venerdì le forze di sicurezza presidiano la sede della Residenza, in cui da mesi soggiornano sei oppositori del governo, richiedenti asilo.
Poco dopo, il governo venezuelano faceva sapere di aver revocato il beneplacito concesso al Brasile per garantire - dopo la rottura dei rapporti diplomatici tra Caracas e Buenos Aires - la rappresentanza degli interessi argentini nel Paese e la custodia delle pertinenze diplomatiche: ancora una volta viene invocata la pretestuosa accusa di "pianificazione di attività terroristiche e di tentativi di attentato" contro Maduro e la vice presidente Rodriguez. Il Brasile aveva appreso "con sorpresa" la decisione di Caracas e ricordato che "in accordo con le Convenzioni di Vienna sulle relazioni diplomatiche e consolari", avrebbe mantenuto la "custodia e difesa degli interessi argentini fino a quando il governo argentino indicherà un altro Stato, accettabile per il governo venezuelano, cui demandare l'esercizio delle suddette funzioni".
Finisce, dunque, a Madrid (almeno per ora) la breve epopea del "nonno" che voleva
sfidare Maduro. Una vicenda che getta altro sale sulle ferite sudamericane e che promette di balcanizzare ulteriormente il continente, trascinando in uno scontro l'uno contro l'altro le più grandi nazioni del Sud America.
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