La Cina non ce l'ha fatta.
È stata battuta dall'India con un gol decisivo al 51° minuto, nella finale dell'Asian Champions Trophy di hockey.
Ma probabilmente non sarà questa sconfitta a togliere il sonno a Xi.
A impensierirlo, semmai, è un altro primato perso a favore di Nuova Delhi: l'India, secondo fonti ONU, ha raggiunto 1,429 miliardi di abitanti, mentre la Cina si ferma a 1,426 miliardi. Non è tutto: l'India continua a crescere e Pechino affronta una crisi senza precedenti, sul piano demografico e non solo. Il settore immobiliare, che per anni ha alimentato la crescita, sta crollando. Gli investitori fuggono, intimoriti dalle politiche sempre più rigide di Xi. Il controllo autoritario, che aveva garantito l'espansione, sta ora soffocando il dinamismo del Paese. Anche le relazioni con l'amata Africa rischiano il deterioramento. Paesi come il Kenya e l'Angola faticano a ripagare i prestiti, ma Pechino rifiuta di cancellarli.
La crisi sembrerebbe inserirsi in un quadro più ampio di deriva entropica, che minaccia i regimi autoritari.
In Russia, infatti, lo scenario è altrettanto critico.
Il Paese sta affrontando gravi difficoltà nel suo obiettivo di ottenere una vittoria entro il 2026, tra crisi economica e problemi di produzione militare. Ci sono problemi anche nel reclutamento, a dispetto dei bonus offerti. La Russia dipende sempre di più da alleati come la Corea del Nord, mentre si aggrava il malcontento, con crisi disciplinari e tensioni tra i comandanti.
È una dinamica, nota agli studiosi di storia e di diritto pubblico, comune alle grandi entità sovranazionali con ambizioni centripete, dall'Impero Romano all'Urss, passando per Costantinopoli: più si espandono, più si indeboliscono, sia internamente sia esternamente.
Nel caso di Cina e Russia, vi è un ulteriore elemento da considerare: la difficoltà nel gestire il divario tra lo sviluppo tecnologico, che è esponenziale, e lo sviluppo politico, che avanza in maniera lineare.
Parliamo, per questo, di «deriva entropica».
In fisica, l'entropia è il disordine crescente all'interno di un sistema chiuso. Trasportato sul piano politico, questo concetto descrive i regimi che, di fronte a sfide sempre più complesse, si irrigidiscono, incapaci di rispondere con flessibilità ai cambiamenti, accelerando così la propria disgregazione.
Al momento, gran parte degli analisti fatta eccezione per quelli dell'Economist e di alcuni think tank specializzati sembra soprattutto attratta dal potenziale espansivo delle autocrazie. Tuttavia, il rischio di un collasso di queste ultime non andrebbe sottovalutato. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle ricadute geopolitiche della crisi delle autocrazie nordafricane nel 2011.
L'Europa è esposta in maniera diretta a tali rischi, se non altro per ragioni geografiche (la Russia è alle porte e la Cina si affaccia sul Mediterraneo dal balcone africano).
Ma non si registra molta attenzione, al momento, sul problema.
Qualche spunto lo ha dato di recente Mario Draghi, con il suo rapporto sulla competitività. L'Ue ha detto l'ex presidente della Bce deve non solo colmare il divario di innovazione, ma anche ridurre la dipendenza da attori esterni, soprattutto nell'energia e nella difesa. La proposta di una «politica economica estera» dell'Unione, volta a garantire sicurezza economica e geopolitica, risponde perfettamente alle esigenze di un mondo sempre più instabile, dove la deriva entropica di Cina o Russia potrebbe trascinare con sé l'Europa.
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*Professore ordinario di Diritto pubblico comparato (Università degli Studi internazionali di Roma - Unint)
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