Trump, Putin e il fumo della propaganda

Non sarebbe mai avvenuto un primo colloquio telefonico tra Trump e Putin dopo la nuova elezione del primo: ma non è la prima volta che le loro chiacchierate diventano oggetto di rivelazioni controverse

Trump, Putin e il fumo della propaganda
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Dopo l'elezione di Donald Trump è l'ora del riposizionamento: le parti in causa nella guerra ucraina cercano di prepararsi al meglio per la prossima fase negoziale e la disinformazione fa parte del gioco. Il Washington Post, citando fonti vicine al neo-eletto presidente Usa, parla del primo colloquio telefonico tra il tycoon e Putin. La Reuters conferma la telefonata citando un uomo vicino al miliardario, mentre il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov smentisce seccamente: mai avvenuto nulla del genere.

Non è la prima volta che le chiacchierate tra Donald e Vladimir diventano oggetto di rivelazioni controverse. Nel recente libro del cronista del Watergate Bob Woodward si parla di almeno 7 colloqui telefonici negli ultimi tre o quattro anni. In una di queste conversazioni Putin si sarebbe preoccupato premurosamente per la riservatezza del suo interlocutore. «Non voglio che tu lo dica a nessuno. La gente se la prenderebbe con te e non con me».

Della manfrina fa probabilmente parte l'intervista di Bryan Lanza, da anni consulente di Trump, concessa alla Bbc durante il week end e in cui era sintetizzato un concetto fondamentale: Zelensky deve avere un approccio realistico alla pace, la Crimea può scordarsela. Come da copione, è subito arrivata un'immediata marcia indietro: non ha titolo per parlare. Ma è interessante notare che Lanza è senior partner della Mercury Public Affairs, società di consulenza politica di cui Susie Wiles, appena nominata da Trump capo di gabinetto della nuova Casa Bianca, è co-presidente. Non proprio l'ultimo arrivato che possa aprire la bocca a vanvera. Analisti maliziosi parlano di un classico ballon d'essai: si fa girare un concetto e si vede l'effetto che fa.

In mezzo a tanto fumo chi sembra non avere fretta è lo zar Vladimir. Certo, secondo lo Stato Maggiore britannico, il mese di ottobre è stato per lui il più duro dall'inizio della guerra: l'esercito russo ha perso, secondo i generali inglesi, una media di 1.500 soldati al giorno tra morti e feriti. Una specie di ecatombe per ottenere avanzamenti di pochi chilometri.

Se si passa all'economia le cose non sono molto diverse. La governatrice della banca centrale, Elvira Nabiullina, a fine ottobre ha alzato il tasso di interesse al 21%, un livello perfino più alto di quello raggiunto nelle prime settimane dell'invasione. È l'unico modo per cercare di imbrigliare un'inflazione preoccupante.

Putin, però, ostenta sicurezza. La Russia è stata riconvertita in un'enorme economia di guerra: ogni obiettivo è subordinato alle esigenze militari, a cui viene destinato il 40% del bilancio pubblico. Per riempire i vuoti nell'esercito la ricompensa per chi si arruola diventa più alta praticamente ogni settimana, ora sono arrivate anche le truppe nord-coreane. Lo zar pare convinto di avere il tempo dalla sua parte.

Forse anche per questo i media vicini al potere russo, gestiti dal Cremlino come un'orchestra ben affiatata, sembrano aver addirittura alzato i toni anti-americani. Ieri Rybar, canale Telegram vicino a Difesa e servizi di sicurezza, assomigliava a un giornale sovietico ai tempi della guerra fredda: una denuncia contro i complotti Usa in Armenia, un articolo sui minacciosi piani del Pentagono per armare l'Ucraina. Sugli schermi del primo canale tv Rossya1, i toni usati sono diversi: la trasmissione «60 minuti», presentata da una delle propagandiste di punta del Paese, Olga Skabejeva, ha dedicato nei giorni scorsi una puntata intera, con generosa concessione ai gusti del pubblico maschile, alle foto nude di Melania Trump. Nulla di giornalisticamente nuovo, ma abbastanza, potenzialmente, per irritare il marito Donald.

Completamente diversa l'aria che si respira in Ucraina. A parlare, ostentando fiducia e positiva volontà di collaborazione con la nuova amministrazione americana, è solo il presidente Volodymyr Zelesnky. Quanto all'umore della gente la sintesi migliore è arrivata da una passante intervistata da un popolare canale Youtube nel centro di Kiev: «Siamo fott..., come la Polonia nel 1939». In realtà è ancora presto per capire come si concretizzerà la nuova situazione politica. L'unica ipotesi di un piano di pace di cui si è parlato in questi giorni, il progetto rivelato dal Wall Street Journal, sembra ancora un abbozzo appena definito. Si parla di una moratoria di 20 anni per l'adesione alla Nato dell'Ucraina, di una zona demilitarizzata al confine lunga più di 800 chilometri, presidiata da truppe europee. L'unico precedente è nella Penisola Coreana, dove l'area pattugliata dai soldati Usa è lunga meno di 250 chilometri.

Più minaccioso per il presidente ucraino è un post su Instagram del figlio di Trump, Donald junior con un riferimento all'entrata in carica della nuova amministrazione: un filmato che mostrava uno Zelensky accorato era accompagnato da questo commento: «mancano 38 giorni alla fine della tua paghetta».

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