Unanimità: 2.952 Sì, nessun No. Con una votazione esemplare, l'Assemblea nazionale del popolo - lo pseudo-parlamento che in Cina non conosce opposizione al Partito comunista - ha confermato ieri Xi Jinping presidente della Repubblica popolare, benedicendo ufficialmente il suo terzo quinquennio consecutivo al potere, in una parola l'impero di Xi terzo. Numeri inequivocabili quelli sfoderati nella sessione plenaria del 14esimo Congresso di Pechino, per sottolineare che non esiste dissenso nel più popoloso Paese al mondo e nella seconda economia del pianeta. Numeri che ricordano all'estero, nel pieno della sfida con gli Stati Uniti e nel mezzo della sanguinosa guerra avviata in Ucraina dall'alleata Russia, che la Cina resta un regime granitico, nonostante le proteste, brutalmente represse, esplose a fine novembre contro i lockdown e le misure anti-Covid, poi revocate proprio per tenere a bada il malcontento e rilanciare l'economia. Xi lo ha voluto e Xi lo ha ottenuto, facendo cambiare nel 2018 la Costituzione per garantirsi un terzo mandato, fino a quel momento vietato, e aprirsi la strada a un dominio senza scadenza, che ormai fa del capo dello Stato cinese un leader più potente di Mao Zedong, il «Grande Timoniere» della Rivoluzione comunista che fondò nel 1921 il Pcc e cambiò per sempre le sorti della Cina contemporanea. Ieri Xi ha strappato anche la rielezione a presidente della Commissione militare centrale, mentre Pechino studia il caso Ucraina in vista di una possibile guerra sul controllo di Taiwan e sostiene di puntare a un esercito «di classe mondiale, capace di combattere e vincere un conflitto» entro il 2027. In realtà, di fatto, la consacrazione per il leader cinese era arrivata a ottobre, quando Xi è stato eletto, sempre per la terza volta, segretario generale del Pcc, la carica politica più importante in Cina, dove il Partito è lo Stato e il suo segretario ne è diventato il «fulcro». Ieri il giuramento con il pugno chiuso, la mano sulla Costituzione e le prime congratulazioni di Li Qiang, il fedelissimo, ex capo del partito di Shangai, che da oggi sostituisce Li Keqiang e diventa primo ministro. Abbandonata la politica dello Zero Covid, che ha frenato l'economica mentre il resto del mondo ripartiva, la Cina punta alla creazione di 12 milioni di posti di lavoro nelle città (un milione in più dell'anno scorso), vuole mantenere il tasso di disoccupazione nelle aree urbane attorno al 5,5% e contenere la crescita dell'inflazione attorno al 3% nel 2023. Ma le sfide non mancano per il Dragone, che ha visto un crollo storico della natalità e la sua popolazione registrare crescita negativa per la prima volta in 61 anni. Non solo. Il tasso di disoccupazione giovanile si è attestato al 16,7% nel dicembre 2022. Secondo l'Onu, entro fine secolo, il numero di cinesi in età lavorativa non supererà i 400 milioni, gravando sulle pensioni. Tutti problemi che si affacciano nel pieno di un contesto internazionale bellicoso, in cui Pechino sostiene di essere neutrale ma continua a minacciare l'Occidente e a rafforzare l'asse con Mosca.
Fra i primi a congratularsi per la rielezione di Xi - «un riconoscimento dei tuoi meriti» - è stato il presidente Vladimir Putin, spiegando al leader cinese che la Russia «apprezza molto il tuo contributo personale al rafforzamento delle relazioni di partenariato globale e cooperazione strategica tra i nostri Stati. Continueremo a coordinare il nostro lavoro sulle questioni più importanti dell'agenda regionale e internazionale», ha concluso il leader russo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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