A Borgo Egnazia sei anatre zoppe e un cigno. I destini in chiaroscuro dei grandi della Terra

Meloni, padrona di casa, e l'unica politicamente "in salute". Biden, Macron, Scholz, Sunak e Trudeau vicini al capolinea

A Borgo Egnazia sei anatre zoppe e un cigno. I destini in chiaroscuro dei grandi della Terra
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Si può sintetizzare il concetto come ha fatto la homepage del sito «Politico»: «Giorgia Meloni e sei anatre zoppe». Oppure usare la variante scelta dai titolisti della tedesca Faz: «Sei anatre zoppe e un cigno» (intendendo sempre la Meloni). La sostanza è la stessa: a Borgo Egnazia sono riuniti un leader in salute, la padrona di casa, e sei «in pericolo, assediati o già sconfitti», come ha scritto con un micidiale crescendo il New York Times.

In sostanza, pochi dei partecipanti al vertice avevano ragioni per essere di buon umore. E a rendere complicato il G7 italiano erano anche il momento (due conflitti in corso, di cui uno in Europa, per la prima volta dal 1945) e un elemento oggettivo sintetizzato da una cifra: al primo summit, nel 1975, al castello di Rambouillet in Francia, i partecipanti (che allora erano sei, non c'era il Canada, ammesso l'anno successivo) rappresentavano circa il 70% del pil globale; oggi il mondo è diventato più complesso e i Sette producono solo il 40% della ricchezza mondiale.

Per tutte queste ragioni secondo molti commentatori nel vertice pugliese i Paesi partecipanti avrebbero dovuto giocare prevalentemente in «difesa». Il fatto che le cose siano andate lisce e tutti gli obiettivi siano a portata di mano può essere considerato un successo. L'unico inghippo è stata la controversia sulla citazione dell'aborto nel documento finale. La vicenda si inserisce nella storia di tensione intermittente tra Italia e Francia, ovvero tra Macron e Meloni. I due leader se le sono cantate chiare e l'accusa italiana contro i transalpini è quella di aver creato dal nulla il problema e di averlo reso pubblico (attraverso lo sherpa del presidente, Emmanuel Bonne) per puri scopi elettorali.

Comunque nulla di paragonabile a quanto accadde nel 2018 quando Donald Trump, che era partito prima del fine del vertice, dopo aver letto il documento ufficiale, iniziò dall'aereo a twittare insulti contro il padrone di casa Justin Trudeau, accusato di non aver interpretato correttamente le opinioni del collega americano. Lo stesso Trudeau fu protagonista l'anno scorso a Hiroshima di uno scambio di dichiarazioni con la Premier Meloni sul rispetto dei diritti LGBTQ da parte del nuovo governo italiano. Le battute sembrano essere state superate da una recente visita della premier in Canada, durante la quale i toni sono apparse più che amichevoli. Tra i leader in crisi c'è lo stesso Trudeau, dato per sicuro perdente nelle elezioni dell'anno prossimo (lui ha confessato che «mollerebbe volentieri il suo pazzo lavoro»). Più o meno nelle stesse condizioni è il tedesco Olaf Scholz, che di suo aggiunge un carattere freddo anche per gli standard tedeschi. Al confronto Angela Merkel, professionale fino all'eccesso ma nota anche per le serate con gli amici e la sua passione per le imitazioni, è considerata una simpaticona.

Chi con la Meloni ha legato da subito sono invece i due leader anglosassoni, Joe Biden e l'inglese Rishi Sunak. Con quest'ultimo, in particolare, l'intesa della Meloni era stata immediata. I due furono visti ridere insieme guardando il telefonino della Meloni a un vertice Nato.

Nel libro-intervista di Alessandro Sallusti la premier spiegò che stavano guardando un video di Orietta Berti («Who is Orietta Berti?»). Peccato che, secondo tutti gli analisti, Sunak sia condannato alla sconfitta nelle elezioni di luglio. Per lui Borgo Egnazia è una specie di passo d'addio.

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