Piantedosi e la missione in Tunisia: così Francia e Germania lasciano sola l'Italia sui migranti

Il ministro Pientedosi è volato a Tunisi per tenere vivo il dialogo sul controllo dei flussi. Assenti Francia e Germania che avevano promesso di esserci. Pesa il mancato accordo sugli aiuti del Fmi. Lo scenario

Piantedosi e la missione in Tunisia: così Francia e Germania lasciano sola l'Italia sui migranti
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Ci sono ministri che gettano fango. E ci sono ministri che si rimboccano le maniche e lavorano per evitare che bombe migratorie invadano l’Europa. Il primo caso è quello del francese Gerald Darmanin, che attaccò il governo italiano dicendo che non è in grado di gestire i migranti. Il secondo quello del ministro Matteo Piantedosi che ieri è volato in Tunisia per incontrare il suo omologo Kamel Fekih e il presidente Kais Saied. Al centro dell’incontro sia il controllo delle partenze che una maggiore collaborazione sul fronte dei rimpatri.

La missione del capo del Viminale serve a tenere vivo il dialogo lungo la direttrice Bruxelles-Tunisi nella gestione dei flussi migratori. Un compito che dovrebbe essere europeo e che invece ancora una volta ricade sull’Italia. Il viaggio arriva dopo oltre un mese di tira e molla in Europa. In origine doveva avvenire in aprile e oltre a Piantedosi prevedeva la presenza della commissaria europea per gli Affari interni Ylva Johansson, ma soprattutto i ministri di Francia e Germania.

Ma nel tempo prima il tedesco Horst Seehofer e poi il francese Gerald Darmanin si sono sfilati e l’incontro è saltato. Per Parigi e Berlino lo stallo intorno agli aiuti destinati a Tunisi non giustifica una missione nel Paese. Ma certamente certifica la cronica solitudine dell’Italia sul dossier migratorio.

Da mesi la Tunisia è attraversata da una violenta e profonda crisi, le casse dello Stato sono vuote e le tensioni sociali sempre più alte. Per questo è allo studio un pacchetto di aiuti da 1,9 miliardi di dollari del Fondo monetario da sbloccare solo a fronte di una serie di riforme che Saied non vuole implementare. Quei fondi non sarebbero sufficienti a puntellare la disastrata economia tunisina ma attiverebbero una serie di finanziamenti, in particolare da Ue e Stati membri. Il paradosso è che per Saied le riforme richieste scatenerebbero rivolte e maggiore povertà, mentre per il Fmi sono necessarie a sbloccare gli aiuti ed evitare il collasso.

In questo groviglio l’Italia è stata costretta a fare da sola con la partenza di Piantedosi. Il tempo scorre e il rischio di un’estate infernale nel Canale di Sicilia è altissimo. Secondo i dati del Viminale nei primi quattro mesi del 2023 oltre 24 mila persone sono arrivate in Italia partendo dalla coste tunisine. Un boom del 1.000% rispetto allo stesso periodo del 2022. E molto vicino ai 32 mila arrivi complessivi di tutto lo scorso anno.

Numeri pericolosi che restituiscono un senso d’urgenza che però sembra non esserci a Parigi e Berlino. Il braccio di ferro sugli aiuti non fermerà partenze e sbarchi. L’Italia fa già la sua parte, come confermato dal ministro degli Esteri Antonio Tajani al Messaggero: “Non possiamo condizionare le riforme ai finanziamenti, devono andare di pari passo. L’Italia ha già dato 10 milioni di euro e altri 100 sono in arrivo”.

Roma si prepara a intensificare la collaborazione con la Guardia Costiera tunisina, addestrando uomini, riparando motovedette e ragionando su nuove forniture. E intanto alla Francia di Darmanin restano solo gli sgarbi diplomatici e a Bruxelles mezze promesse e burocrazia.

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