
Qual è la versione italiana? La sinistra statunitense, ora, sta abbandonando quella «woke culture» che la sinistra italiana ha scimmiottato per anni: e ora, questa stessa sinistra, che cosa scimmiotterà? Progressisti americani e italiani, su uno sfondo diverso, hanno lo stesso problema: aver ceduto alle destre intere categorie economico-sociali (operai, neo-proletariato, minoranze etniche) che hanno patito delle imposizioni calate dall'alto su un fronte politico e culturale. Il woke, in Italia, è stato soprattutto questo: una sinistra passata dalla tutela dei diritti alla dittatura delle minoranze, con la pretesa di neutralizzare ogni dibattito attraverso un politicamente corretto che stabilisse che cosa si potesse dire (o no) attraverso una neolingua incomprensibile, parole che tagliavano il vivere quotidiano come un coltello su immigrazione, multiculturalismo, segregazione sociale e welfare declinante; questo mentre tra gli italiani, come negli Stati Uniti, crescevano le diseguaglianze socio-economiche.
Ci hanno insegnato l'espressione «social divide», ma nel tempo si è tradotta solo nella separazione tra establishment woke ed elettorato risentito che evidentemente non era composto solo da comunicatori, influencer, blogger, giornalisti, burocrati, attivisti, docenti, insegnanti, scrittori, redattori, editor, artisti, cantanti, pubblicitari, autori televisivi, manager, consulenti, uffici stampa, perdigiorno online: tutti guerrieri per conto terzi e raramente coinvolti in prima persona dalle categorie «offese» che difendevano.
Ci hanno insegnato l'espressione «eco-ansia», ma alla fine il suggerimento più concreto è stato proporre al governo, nel marzo 2024, «scelte coraggiose e discontinue» a cominciare dall'introduzione di psicologi o psichiatri «di base» per curare questa supposta ansia.
Ci hanno insegnato che uno stupratore immigrato va nascosto e che uno italiano va esaltato, che l'omicidio di una donna vale più di quello di un uomo, che i femminicidi sono un'emergenza anche se calano ogni anno e sono inferiori al resto d'Europa, che i diritti di un lavoratore bianco non fanno notizia quanto quelli di uno nero. Ci avevano insegnato, soprattutto nei tardi anni Novanta, che la guerra doveva chiamarsi missione di pace, intervento umanitario e operazione di polizia internazionale, che resistenza e terrorismo potevano equivalersi, e, in una visione terzomondista e post-coloniale, che ogni nemico è la creazione di precedenti intemerate occidentali: poi la guerra in Ucraina e in Palestina hanno leggermente risistemato le cose. A noi giornalisti hanno riempito le redazioni di lezioni per imparare a scrivere con un linguaggio più inclusivo e per apprendere un «uso non sessista della lingua italiana». Hanno chiamato «islamofobia» il mancato rispetto di culture che respingono la separazione tra Stato e religione, qualcosa che non contempla la democrazia, esclude la parità tra uomo e donna e contempla la sottomissione del nemico. Hanno dimenticato le vecchie battaglie per i diritti delle donne (tutte le donne) e hanno dato spazio a una gerarchia tra donne meritevoli o non meritevoli di solidarietà e difesa.
Hanno dimenticato soprattutto la lotta per l'uguaglianza sociale e hanno puntato tutto su immigrati e omosessuali e polisessuali in ogni variante, lasciando scoperti i grandi problemi sociali di questo Paese e di questo tempo, che restano sempre quelli: il lavoro, la scuola, i figli, la sanità, e un futuro che è oggi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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