La Tunisia, l'emergenza migranti e quella spaccatura nella Ue

La Tunisia rischia il collasso e aspetta i fondi dell'Fmi: in Europa ci si divide tra Paesi che chiedono rigore e altri, tra cui l'Italia, che sottolineano l'importanza di tenere una linea più pragmatica

La Tunisia, l'emergenza migranti e quella spaccatura nella Ue

La "solita" scelta tra rigore e flessibilità. In ambito europeo varie volte si è assistito a dibattiti che hanno spaccato in due l'Ue. Da una parte ci sono i governi intransigenti, i quali esigono il rispetto senza deroghe dei vincoli di bilancio. Dall'altra invece gli esecutivi favorevoli a una maggiore flessibilità. Oggi questo dibattito potrebbe nuovamente prendere piede a livello comunitario. Ma non per un Paese Ue, bensì per la Tunisia.

L'Ue, così come rimarcato da alcuni funzionari di Bruxelles sentiti dall'Agi nella giornata di ieri, è spaccata sul dossier tunisino. Ci sono governi che non vogliono saperne di mediare con l'Fmi per sbloccare i prestiti a favore del Paese nordafricano. Altri invece, tra cui l'Italia, che chiedono pragmatismo: senza aiuti la Tunisia rischia di collassare e quindi è bene convincere il Fondo a stornare almeno parte del fondi. Un concetto che oggi, così come sottolineato su IlGiornale da Adalberto Signore, Giorgia Meloni ribadirà direttamente al presidente tunisino Kais Saied. La visita, in programma nelle prossime ore, servirà proprio a fare il punto sul piano dell'Fmi e sulla situazione all'interno del Paese nordafricano.

Perché il dibattito interessa l'Ue

Il governo di Tunisi si trova in una situazione molto complicata. Le casse sono quasi vuote, mentre l'inflazione e la disoccupazione crescono, al pari del numero delle famiglie in difficoltà. Una crisi, quella del Paese nordafricano, che ha origini molto lontane. Qui nel 2011 è partita la primavera araba proprio perché la popolazione a un certo punto si è ritrovata senza prospettive. Un malcontento che ha scatenato la rabbia, soprattutto dei più giovani.

Ma a distanza di 12 anni dalle rivolte che hanno portato alla fine del governo di Ben Alì, poco è cambiato. Anzi, semmai il contesto si è aggravato anche per l'aggiunta di fattori esterni. La pandemia da coronavirus per almeno due anni ha cancellato il turismo, settore da cui dipende circa il 7% del Pil. La guerra in Ucraina ha contribuito a far aumentare l'inflazione: la Tunisia è tra quei Paesi che importa grano e cereali proprio dall'Ucraina, la penuria di generi di prima neccessità ha innescato quindi una spirale dalle conseguenze ben prevedibili.

Il presidente Kais Saied, in carica dal 2019 e dal 2021 trasformatosi nel nuovo rais grazie al congelamento del parlamento e a una riforma costituzionale di segno presidenziale, è stato costretto a chiedere prestiti all'Fmi. Nello scorso mese di ottobre è stato concordato un piano da circa due miliardi di Dollari. Ma i fondi non arrivano: Tunisi, secondo l'Fmi, deve prima effettuare le proprie riforme.

Ed è questo il vero nodo della questione. Saied appare restio ad attuare le riforme richieste. Dovrebbe garantire maggiori privatizzazioni e soprattutto eliminare i sussidi per le famiglie meno abbienti. Circostanza quest'ultima che, secondo Tunisi, andarebbe ad aggravare la situazione economica e ad alimentare il malcontento.

Quei fondi però servono per salvare almeno il bilancio statale e ridare ossigeno al Paese. L'Italia ha provato più volte negli ultimi mesi a far comprendere quest'ultimo punto: se la Tunisia dovesse crollare, gli scenari per l'Europa sarebbero molto gravi. In primis per via di una prevedibile nuova ondata migratoria verso le nostre coste. In secondo luogo, perché in caso di instabilità a Tunisi potrebbero avanzare i movimenti islamisti e avere il terrorismo a due passi da casa.

A Bruxelles c'è chi guarda alla situazione tunisina con preoccupazione, facendo propri i timori di Roma. Da qui una richiesta di maggior pragmatismo e una richiesta all'Ue di chiedere un primo parziale sblocco dei fondi. Ma c'è anche chi ha sposato la linea dell'intransigenza: prima tutte le riforme, soltanto dopo spazio allo sblocco delle somme concordate tra Tunisi e l'Fmi. "La questione è diventata prioritaria e sarà trattata al vertice di giugno", ha spiegato all'Agi un funzionario europeo. Sul tavolo, hanno fatto sapere dalla capitale belga, ci sono varie ipotesi. Al momento però non sono trapelati dettagli in tal senso.

Il ruolo dell'Italia sul dossier

Roma si è fatta portavoce nei mesi scorsi delle istanze di Tunisi. Il governo italiano è ovviamente il primo a essere preoccupato da un eventuale collasso sociale ed economico del Paese nordafricano. Le conseguenze sono state già in parte sperimentate nei mesi scorsi, quando dalle coste tunisine l'aumento di partenze verso l'Italia è stato nell'ordine del 900%. Un'ondata che ha contribuito a rendere problematica la gestione dell'accoglienza nel primo semestre del 2023.

Buona parte dei migranti però non era tunisina. Segno di come quanto accaduto fino a oggi non ha rappresentato un esodo ricollegabile alla situazione economica di Tunisi. Al contrario, c'è stata la mano delle organizzazioni dei trafficanti che hanno voluto cavalcare il momento di caos. Circostanza forse sfruttata da Saied per chiedere aiuti e sostegni politici dall'Europa e dall'Italia in primis.

Oggi Giorgia Meloni arriverà nel Paese per una visita lampo forte dell'attivismo del suo governo sul fronte tunisino.

Il capo dell'esecutivo ha parlato dei fondi da sbloccare a Tunisi anche nell'ultimo G7. Oltre ad aver posto la questione tunisina al centro del dibattito europeo. Forse non è un caso che, da allora, le autorità tunisine hanno iniziato a fermare i barconi e ad arrestare i trafficanti.

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