«Metteresti la tua famiglia su un aereo addestrato al simulatore Max? Io non lo farei». A dirlo, con otto mesi di anticipo rispetto ai due incidenti fatali che hanno coinvolto i 737 Max della Boeing provocando complessivamente 346 morti, erano gli stessi piloti e dipendenti dell'azienda aerospaziale statunitense. Che, nei mesi in cui il velivolo in questione era in fase di sviluppo, ironizzavano sulle falle nella sicurezza - «Questo aereo è progettato da pagliacci supervisionati da scimmie» - così come sul ruolo dell'Agenzia federale per l'aviazione civile, la Faa, che avrebbe dovuto dare alla Boeing le autorizzazioni necessarie a mettere in cielo il nuovo modello: gli impiegati erano sicuri di poterla raggirare convincendola che i piloti non avrebbero avuto bisogno di un addestramento ad hoc per imparare a guidarlo e che sarebbe invece bastata una formazione minima al computer. Elemento, quest'ultimo, centrale nello spingere le vendite dei 737 Max alle compagnie aeree, felici di poter risparmiare sul training.
Le frasi sono estrapolate da chat e mail interne alla Boeing, risalenti al periodo 2015-2018. Le conversazioni, i cui protagonisti sono rimasti anonimi, sono state raccolte in un faldone da un centinaio di pagine e consegnate dai vertici dell'azienda, nell'ambito delle indagini sui due schianti in Indonesia e in Etiopia, alla Faa e alla commissione d'inchiesta del Congresso statunitense lo scorso dicembre, ma sono stati resi noti solo ieri. «Non sono ancora stato perdonato da Dio per quello che ho nascosto l'anno scorso», scriveva un dipendente in un messaggio del maggio 2018 facendo riferimento a un rapporto inviato all'Agenzia federale. «Sarei scioccato se la Faa desse l'autorizzazione a questo schifo», scriveva un altro commentando la qualità del velivolo.
Anche se non danno prova di ulteriori rischi di sicurezza nel modello rispetto a quelli già individuati in questi mesi dagli inquirenti, gli scambi trapelati rappresentano un nuovo danno d'immagine per Boeing, i cui 737 Max sono a terra ormai da dieci mesi - e non è chiaro se e quando potranno tornare a volare - e la cui produzione si è temporaneamente fermata con l'inizio del 2020. Lo stop a tutte le varianti è stata presa dopo il secondo schianto, quello del volo della Ethiopian Airlines del 10 marzo 2019, che da Addis Abeba, in Etiopia, sarebbe dovuto atterrare a Nairobi, in Kenya, salvo precipitare pochi minuti dopo il decollo facendo 157 vittime e nessun sopravvissuto. Quattro mesi prima, il 29 ottobre 2018, la stessa dinamica aveva coinvolto un volo della Lion Air: subito dopo la partenza da Giacarta, in Indonesia, l'aereo si è inabissato provocando 189 morti. Le successive indagini si sono concentrate sul sistema anti stallo presente a bordo dei 737 Max, pensato per compensare il peso dei nuovi grossi motori montati sul velivolo: dato che lo squilibrio avrebbe portato il muso dell'aereo ad alzarsi, il meccanismo lo avrebbe riabbassato automaticamente. Sarebbe stato però proprio il malfunzionamento di questo sistema alla base degli incidenti.
Dura la reazione del Congresso Usa: secondo Peter DeFazio, presidente democratico della Commissione trasporti alla Camera, i messaggi sono la prova di come Boeing abbia fin da subito messo in atto uno «sforzo coordinato» per «evitare il controllo di regolatori, equipaggi e passeggeri».
Un esordio in salita per Dave Calhoun, già presidente della società, che lunedì si insedierà come nuovo ad dopo la rimozione di Dennis Muilenburg, alla guida del colosso dal 2015, decisa poco prima di Natale alla luce degli incidenti. A Calhoun toccherà il compito non solo di sistemare le falle tecniche, ma soprattutto di ridare credibilità all'azienda.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.