Multidisciplinarietà, è il primo aggettivo che balza alla mente se parliamo di Luigi Luca Cavalli Sforza, mancato ieri a 96 anni, a Belluno, dove viveva. Le sue ricerche rimandano, di fatto, al mondo della genetica, ma risultano imprescindibili da storia, archeologia, linguistica, biologia, statistica. Ed è proprio questo il punto di forza di questo studioso, che fra i primi ha capito l'importanza di sapere mischiare le carte, per riuscire a conquistare obiettivi scientifici altrimenti irraggiungibili. Se oggi sappiamo tanto del cammino umano, lo dobbiamo a lui. Certo, (quasi) tutti sono al corrente del fatto che l'uomo sia nato in Africa, e che derivi dalle cosiddette forme australopitecine vissute oltre tre milioni di anni fa in corrispondenza dell'attuale Tanzania. Ma chi ci dice come poi si è arrivati alla nostra specie, e come la nostra specie abbia cavalcato le pianure dell'intero pianeta? Luigi Luca Cavalli Sforza.
Con lui si parla per la prima volta di genetica delle popolazioni, e si arriva a comprendere che l'Homo sapiens ha compiuto un lungo cammino che l'ha portato gradualmente a conquistare ogni angolo della Terra. Passando prima per il Medio Oriente, e filtrando poi in Europa e in Asia. Ultima tappa, l'Oceania, l'Australia e le isole che la coronano e si spingono fino agli orizzonti sudamericani. Cavalli Sforza ha compiuto lunghe analisi sulle popolazioni attuali, compresi pigmei e boscimani, valutando i gradi di diversità genetici, ma confermando anche che il concetto di razza non ha alcun senso di esistere. Perché ogni abitante della Terra presenta sì delle difformità genetiche, ma nulla che abbia a che vedere con corredi cromosomici standardizzati, tali da poter fare confronti assoluti fra chi abita un paese anziché l'altro. Esistono le mutazioni, modifiche del Dna che avvengono nel corso dei tempi, micro e macro evoluzioni, ma la specie umana è estremamente compatta dal punto di vista genetico, e questa interezza potrà venire meno solo dopo millenni di evoluzione collettiva delle popolazioni che oggi abitano il pianeta.
Semmai, grazie a Cavalli Sforza nasce il primo atlante genetico del mondo, che stabilisce la distanza genetica fra le etnie. Risulta maggiore fra africani e australiani, proprio in virtù di un cambiamento che è avvenuto nel corso del tempo, con migrazioni costanti da Ovest a Est, e il confronto con climi diversi in continua evoluzione.
La deriva genetica e la biodiversità sono altri tasselli dell'importante lavoro svolto dal genetista. Con la deriva genetica si spiega il motivo per cui una specie rischia di estinguersi. Entra in quel che gli esperti indicano come «collo di bottiglia», con rapido impoverimento delle caratteristiche genotipiche di una popolazione, anticamera di un'infausta selezione naturale. Capitò anche alla nostra specie nel passaggio dall'Africa al Medio Oriente. Uno sparuto numero di sapiens scampò l'estinzione per una pura casualità legata probabilmente all'incontro con un territorio ricco di risorse. Ai neandertaliani, evidentemente, andò peggio. La biodiversità indica le chance di sopravvivenza di una popolazione: le caratteristiche genetiche che aiutano ad adattarsi e a combattere le malattie. Cavalli Sforza era nato a Genova e aveva iniziato la carriera scientifica in Inghilterra.
Di nuovo in Italia negli anni Cinquanta, aveva insegnato a Pavia e a Stanford, negli Stati Uniti. Alla luce dei suoi innumerevoli traguardi, è considerato dall'intellighenzia scientifica mondiale uno dei più importanti genetisti della storia.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.