In Africa per conoscere serve rischiare

L'ambasciatore Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci non sono morti perché non c'era un'auto blindata o perché non avevano una scorta

In Africa per conoscere serve rischiare

L'ambasciatore Luca Attanasio e il carabiniere Vittorio Iacovacci non sono morti perché non c'era un'auto blindata o perché non avevano una scorta. Sono morti perché si muovevano nell'unico modo possibile in un continente privo di regole e garanzie. Se vuoi l'auto blindata la puoi usare per girare per Kinshasa, non per andare a Goma e dintorni, una regione distante 8mila chilometri e praticamente irraggiungibile per via terrestre. Da quelle parti, del resto, non puoi neppure confidare nell'aiuto di un esercito o di una polizia i cui ufficiali sono spesso in combutta con i capi banda che dovrebbero combattere. Un'alternativa sarebbe l'Onu. Ma significa consegnarsi a una macchina infernale capace di trasferire le burocrazie del Palazzo di Vetro nel cuore della foresta pluviale. Il che equivale a ritrovarsi prigionieri di una ragnatela insuperabile. Per questo il basso profilo e l'informale mescolanza con gli altri «muzungo» - i bianchi del posto - sono, a volte, l'unico modo per raggiungere i posti più desolati. Certo questo significa osare, ma in Africa nulla è esente da rischi. E uno smanioso ossessivo tentativo d'evitarli è spesso la ricetta migliore per sopravvivere a tutto, ma non comprendere nulla. Anche per questo Luca Attanasio lunedì mattina ha preferito infilarsi in due vecchi fuoristrada e cercare di raggiungere il più discretamente possibile una scuola dove i bambini consumano un pasto quotidiano grazie alle donazioni della nostra Cooperazione.

Certo con il senno di poi tutti saremmo in grado di suggerirgli quel che avrebbe dovuto fare per essere ancora tra noi. Ma purtroppo da quelle parti non esiste una regola perfetta. Perché l'Africa è un continente imperfetto. E per conoscerla bisogna anche saper rischiare. Perché, altrimenti, l'unica alternativa è rinunciare.

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