Aleppo a un passo dalla riconquista. E Putin anticipa Trump

Siria, è assalto ai quartieri in mano ai ribelli

Aleppo a un passo dalla riconquista. E Putin anticipa Trump

Quando il 20 gennaio Donald Trump s'insedierà ufficialmente alla Casa Bianca la devastante guerra civile siriana potrebbe non essere più un problema. O almeno non un «suo» problema. A levargli le castagne dal fuoco ci sta pensando il presidente russo Vladimir Putin d'intesa con Teheran e il governo di Damasco. La pesante offensiva lanciata dall'alleanza filo governativa per riconquistare il controllo delle zone orientali della città controllate dalle fazioni al qaidiste di Jabat Al Nusra (oggi conosciute con il nome di Jabhat Fateh al-Sham) e da altri ribelli jihadisti, promette infatti di imprimere una netta svolta alla guerra civile incominciata oltre cinque anni fa.

Per la prima volta dal 2011 ad oggi i ribelli sembrano sull'orlo di una devastante sconfitta e il regime di Bashar ad un passo da una parziale, ma significativa vittoria. Dall'estate del 2012 quando i ribelli scesi dalla frontiera turca iniziarono l'assedio a questa città considerata il cuore industriale e commerciale della Siria, Aleppo rappresenta l'autentico «settebello» del conflitto, la carta decisiva per conquistare la definitiva legittimità internazionale e il controllo del paese. Perdendo Aleppo Bashar Assad avrebbe dovuto ammettere di non avere più il consenso di una città di oltre due milioni di abitanti che - seppur a larga maggioranza sunnita - ha sempre preferito l'ordine garantito dal regime al fanatismo islamista dei ribelli. Per i quali invece conquistare Aleppo era la condizione «sine qua non» per poter annunciare la nascita di un governo provvisorio in grado di controllare una ricca fetta di territori e di ottenere il riconoscimento dell'amministrazione Obama, oltre che di quei Paesi europei come Francia e Inghilterra più interessati a far cadere il regime di Damasco che a combattere lo Stato Islamico. Ma a cambiare le carte in tavola ci sta pensando la Russia di Putin.

Grazie all'appoggio aereo e logistico di Mosca le forze governative sono riuscite sabato a rompere le linee difensive dei gruppi jihadisti e a riconquistare la metà settentrionale dell'enclave orientale controllata dai ribelli. «I Russi sono decisi a portare a termine l'operazione prima dell'insediamento di Trump», ammettevano ieri alcune fonti dell'esercito di Damasco ai media internazionali. La vera chiave di svolta è però la silenziosa complicità di una Turchia a cui Mosca e Damasco hanno garantito libertà di movimento in quei territori settentrionali della Siria dove le milizie curde rappresentavano il vero cruccio del presidente Erdogan.

Da quando ad agosto Mosca e Damasco hanno consentito all'esercito di Ankara di penetrare in territorio siriano per combattere le milizie curde dell'Ypg, considerate un costola del Pkk (Partito dei Lavoratori del Kurdistan), Erdogan ha di fatto abbandonato al proprio destino i ribelli. Trump ha già annunciato di voler tagliare tutti gli aiuti alle forze anti Assad per concentrarsi nella lotta al Califfato. Magari al fianco della «nemica» Russia.

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