Allarme sul risparmio italiano. Faro sull'asse Generali-Natixis

L'idea che 650 miliardi gestiti da Generali finiscano in una entità a maggioranza francese accende interrogativi sul debito pubblico

Allarme sul risparmio italiano. Faro sull'asse Generali-Natixis

Decisamente non è cosa: qualunque tentativo di riportare una parvenza di concordia tra i grandi azionisti di Generali sembra destinato a schiantarsi. Mentre da settimane il presidente della compagnia Andrea Sironi tentava di ricucire strappi mai sanati, nella prospettiva di un accordo su una lista unica per la nomina del nuovo consiglio di amministrazione della compagnia in calendario ad aprile, lunedì 20 l'attuale cda si troverà sul tavolo un ordine del giorno che potrebbe azzerare qualunque ipotesi di ricomposizione. Quel giorno i consiglieri di Generali verranno informati dal ceo Philippe Donnet dello stato di avanzamento dei colloqui con la francese Natixis, per realizzare la più importante operazione di trasferimento di risparmi raccolti in Italia mai vista. In breve, la compagnia triestina sposterebbe 650 miliardi affidati alla sua gestione in una nuova piattaforma partecipata dalla controllata Generali Investment Holding (GIH) e dalla francese Natixis, terzo colosso del risparmio europeo con 1.300 miliardi gestiti, 1.200 dei quali verrebbero destinati al progetto comune.

Apparentemente si tratta di una grande operazione, degna di non poco apprezzamento, capace di dare vita a uno dei primi player continentali, forte di quasi 2.000 miliardi di gestito. E tuttavia, più si apprendono i dettagli e più l'operazione rivela aspetti che ricordano la clamorosa svendita di Pioneer (225 miliardi di risparmio gestito) ceduta a fine 2016 da Unicredit, al tempo guidata dal francese Jean-Pierre Mustier, al gruppo Amundi - anch'esso francese - con il beneplacito dell'allora premier Matteo Renzi per motivi ignoti.

Chiunque può perciò intuire il grado di delicatezza dell'accordo che fatalmente, stante i forti riflessi sulle Generali stesse e quindi sul mercato nazionale, oltre alle varie autorizzazioni dovrà essere formalmente notificata all'autorità di governo per le valutazioni in materia di golden power. Vale la pena precisare che mentre il conferimento di Natixis riguarderà le masse di risparmio raccolte da Groupe des Banques Populaires et des Caisses d'Espagne (Bpce) e da terzi, Generali conferirà GIH che gestisce le masse provenienti dai sottoscrittori delle polizze assicurative, masse che oggi finanziano anche il nostro debito pubblico: l'eventuale perdita di controllo su questa quantità enorme di risparmi è un rischio oggettivo per la sovranità finanziaria del nostro Paese.

C'è poi il tema del controllo del nuovo soggetto. Stando alle informazioni circolate finora, GIH e Natixis avranno ciascuna il 50% della joint venture. Va però osservato che GIH, per effetto della recente acquisizione di Conning Holdings (117 miliardi di dollari di cespiti), ha un assetto azionario che vede Cathay Life azionista con il 16,75%. Il che, in trasparenza, riconoscerebbe a Generali un 42% diretto della futura entità, l'altro 8% a Cathay e il restante 50% ai francesi. Si aggiunga che la guida del nuovo soggetto (per i primi 5 anni) affidata a Woody Bradford, ceo di GIH, non dà particolari garanzie trattandosi di un manager da poco entrato nel mondo Generali attraverso l'acquisizione di Conning.

Per non dire del fatto che la scelta di allocazione delle masse gestite non sarebbe reversibile, sicchè gli asset conferiti finiranno di fatto per essere incorporati in una nuova entità sotto l'ombrello del socio francese che in prospettiva avrà il controllo del veicolo.

Se non vi saranno correzioni profonde, l'operazione rischia quindi di snaturare la stessa attività del gruppo assicurativo, che in sostanza rinuncia alla gestione di tutti i flussi finanziari in entrata e ai poteri decisionali sul loro impiego. Ed è inquietante che un'operazione così delicata finora non sia stata portata a conoscenza dei grandi soci - in particolare di Delfin (9,93% delle Generali) e di Francesco Gaetano Caltagirone (6,92%) - la cui unica fonte al momento sono le indiscrezioni pubblicate dalla stampa. Ancor più inquietante è apprendere che il primo tra i grandi azionisti della compagnia, ovvero Mediobanca (13,10%), figura nel pool degli advisor che assistono Generali - rivestendo di fatto il ruolo di regista dell'operazione - cosa che oltre a rappresentare un palese conflitto di interessi manifesta un'altrettanto evidente asimmetria informativa all'interno della compagine sociale.

Peraltro, la scelta di affidare a un terzo la gestione del patrimonio, tale da snaturare l'oggetto sociale delle Generali, dovrebbe spettare ai soci: per nessuna ragione può essere rimessa agli amministratori, sui quali pendono ovvi profili di responsabilità. Una decisione di tale portata dovrebbe quindi essere sottoposta all'assemblea straordinaria, concedendo ai dissenzienti il diritto di recesso. Non si tratta di forzature o di partigianeria, per averne piena contezza basterebbe leggere con attenzione la pronuncia di questi giorni del Tribunale di Milano sull'impugnazione da parte di Vivendi della vendita della rete Tim al fondo Kkr, per intuire che anche sul piano giuridico c'è molto che stride. Quale che sia la volontà del cda, è fatale che della questione se ne discuta in un'assemblea dei soci semmai la trattativa dovesse proseguire.

Infine i tempi sospetti. Oltre alle anomalie descritte, sorprende anche la fretta con la quale si vorrebbe realizzare l'operazione. A due mesi dal rinnovo del consiglio di amministrazione, è quantomeno ardito tentare di chiudere un'operazione che mette in gioco l'autonomia gestionale di 650 miliardi di risparmio nazionale. Davvero a Trieste non sono scattati i campanelli d'allarme, stante che tra due mesi l'assemblea dei soci dovrà anche decidere se rinnovare o meno il mandato al ceo Donnet, con la prospettiva potenziale di trovarsi vincolati per sempre a un accordo così importante sottoscritto dall'ex ceo?

Sulla questione il Comitato investimenti delle Generali è convocato per domenica e il cda per lunedì: un tale ritmo accelerato delle procedure di approvazione dell'accordo fa presumere che i giochi siano fatti. E poichè sia Francesco Milleri (presidente di Delfin) e Caltagirone hanno già fatto sapere di essere in totale disaccordo sull'iniziativa, è facile ipotizzare che dalla levata di scudi si passerà all'assemblea straordinaria.

E quand'anche l'operazione fosse approvata in assemblea, vista la potenza di fuoco di fondi ed hedge che si muove dietro Mediobanca, per quanto ci consta possiamo azzardare che difficilmente supererà le forche caudine del golden power che, esercitato a suo tempo per preservare l'italianità degli pneumatici Pirelli, non potrà essere negato di fronte alla difesa della stabilità monetaria del Paese. Si vedrà.

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