Altro asso per Palamara. L'azienda che lo intercettò ora finisce sotto inchiesta

Indagati 4 dirigenti. Registrazioni archiviate nei propri server anziché in quelli della procura

Altro asso per Palamara. L'azienda che lo intercettò ora finisce sotto inchiesta

Falsa testimonianza, frode, falso in atto pubblico, ora anche accesso abusivo a sistemi informatici: è una sfilza di accuse quella che si abbatte ieri su Rcs, il colosso italiano delle intercettazioni telefoniche, l'azienda di fiducia di centinaia di pm che si affidano a lei per frugare telefonate, chat, archivi personali. Tutto nasce dal caso Palamara. Si scopre che per anni Rcs ha convogliato i dati intercettati non verso Procure o caserme ma verso i propri uffici, dove li ha immagazzinati fuori da ogni controllo. I server erano custoditi negli uffici di Rcs nel centro direzionale di Napoli. Due anni fa, senza dire niente a nessuno, Rcs sposta uno dei cervelli elettronici all'interno degli uffici della Procura, sempre nel centro direzionale, senza comunicarlo e soprattutto senza avvisare che da lì sarebbero passate non solo le inchieste napoletane ma anche quelle del resto d'Italia. «Questo - spiega Giovanni Melillo, capo della Procura di Napoli - non c'è mai stato reso noto ed è assolutamente fuori dalle regole».

A fare scoppiare il caso sono state le indagini difensive dei legali di Luca Palamara e del parlamentare di Italia Viva Cosimo Ferri, giudice in aspettativa e sottoposto a procedimento disciplinare insieme all'ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati. Analizzando le tante stranezze del trojan piazzato sul telefono di Palamara, scoprono che le tracce informatiche portano a Napoli, un IP (un indirizzo internet) del centro direzionale. Palamara e Ferri denunciano, il capo della sicurezza di Rcs Duilio Bianchi viene indagato e interrogato.

Ieri, il salto di qualità. Al processo in corso a Perugia contro Palamara viene depositato un decreto di perquisizione firmato congiuntamente dalle Procure di Firenze e Napoli contro i vertici di Rcs. Si scopre che insieme Bianchi viene indagato l'intero gruppo dirigente dell'azienda (Fabio Cameriana, Michele Tomba, Alberto Chiappino). Si scopre che le Procure di Firenze e Napoli hanno preso assai sul serio le denunce di Ferri e Palamara, mettendo per settimane i propri specialisti di reati informatici sulle tracce di Rcs. Ed è saltato fuori che quando nel gennaio dello scorso anno il procuratore partenopeo Giovanni Melillo decise di fare ordine nel sistema delle intercettazioni, da Rcs gli vennero raccontate una serie di bugie: «in data 22.1.2020 la società Rcs forniva alla Procura di Napoli un documento descrittivo dell'architettura di sistema dei server e degli standard adottati che appaiono difformi rispetto a quelli emersi dalle indagini fin qui svolte». E il trasloco dei server dalle stanze di Rcs a quelle della Procura venne fatto all'insaputa della Procura stessa: «non risultano comunicazioni da parte di Rcs alla Procura di Napoli in merito alla ricollocazione degli impianti».

Così tutto passava di lì, dalle indagini su Palamara a quelle dell'antimafia di Reggio Calabria, senza che nessuno tranne Rcs lo sapesse.

D'altronde quale luogo migliore di una procura della Repubblica per nascondere i segreti del Grande Orecchio? Il problema è che secondo i consulenti di Cosimo Ferri, i tecnici di Rcs hanno mantenuto per tutto questo tempo le chiavi di accesso al sistema, in grado di ascoltare qualunque cosa. Magari anche l'audio della cena tra Palamara e il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, poi svanita nel nulla.

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