Il nuovo ministro della Giustizia Carlo Nordio ci ha messo solo quarantadue giorni per scatenare le ire dell'Associazione nazionale magistrati. E adesso cosa accadrà? Cercheranno di silurarlo per via giudiziaria?
«In passato è accaduto spesso - risponde Luca Palamara, che dell'Anm è stato a lungo il potente presidente - che ministri della Giustizia pagassero cara la contrapposizione alle correnti. Basti pensare a quanto accadde al ministro Clemente Mastella. Ma stavolta la vedo dura. Il profilo professionale di Nordio, uno che ha fatto per tutta la vita il pubblico ministero, lo rende difficilmente attaccabile».
Non è paradossale che a entrare quasi immediatamente in rotta di collisione con le correnti delle toghe sia il primo Guardasigilli che viene proprio dalle fila delle Procure?
«Me lo spiego semplicemente col fatto che ormai ci sono problemi divenuti a tal punto patrimonio comune dell'opinione pubblica che non è più possibile nascondersi dietro una foglia di fico. Nordio ha avuto il coraggio di mettere sul tavolo emergenze che, fuori dall'ipocrisia, sono vissute come tali dall'intera società civile italiana. Proprio perché ora provengono da uno che ha fatto per tutta la vita il pm sarebbe il caso che anziché ricorrere alle solite, stereotipate invettive l'Anm affrontasse serenamente i problemi che ha posto. Aggiungo: sarebbe il caso che a rispondere a Nordio fossero persone qualificate e non soggetti che puntano senza titolo a qualificarsi come grandi giuristi. Parlo ovviamente di alcuni giornalisti».
In passato, Cartabia compresa, la scena era sempre la stessa. Arrivava un nuovo ministro, annunciava riforme più o meno epocali, le correnti dei giudici ruggivano e la riforma finiva in niente o quasi. L'Anm di oggi ha ancora il potere di fermare Nordio?
«Tutto quello che è accaduto ha inciso in profondità nel tessuto connettivo della magistratura italiana. La magistratura non è più quella di dieci anni fa, non siamo più all'epoca delle corazzate antiberlusconiane. La politicizzazione della magistratura è vista come un male dalla grande parte della magistratura, anche se l'Anm cerca disperatamente di riproporre le stesse parole d'ordine di sempre. Ancora più incredibile è che a farlo sia l'attuale presidente dell'Associazione, che prima era il capo dell'ufficio legislativo del ministro di centrosinistra e che mischia i due ruoli in maniera clamorosa».
L'altro giorno all'assemblea di Area, la corrente dei giudici di sinistra, si sentivano cose da anni Settanta. Il governo di centrodestra è stato accusato di volere «un ridimensionamento del modello costituzionale di magistrato», di lavorare «all'idea di un pubblico mistero sempre più compresso e sacrificato».
«Ci sono pezzi della magistratura refrattari a qualunque maturazione, decisi a portare avanti fino alla fine l'idea che schierarsi politicamente sia un diritto e anzi un dovere. Sono tagliati fuori dalla realtà».
A mettere Nordio sotto tiro è stato soprattutto il suo annuncio di ridurre l'utilizzo delle intercettazioni. Così si aiutano i criminali, è stato detto. La leader di Area ha definito le intercettazioni «pacificamente indispensabili per le attività di indagine».
«Il problema delle intercettazioni si trascina da vent'anni, l'abuso che ne è stato fatto è perfettamente noto anche a tutti i pubblici ministeri e a tutti i giudici. Oggi si difendono a spada tratta le intercettazioni solo perché sono funzionali a un processo penale utile a interessi diversi da quelli della giustizia: utile ai giornali, utile alle forze politiche per eliminare l'avversario di turno. È un insulto all'intelligenza dei cittadini sostenere che limitare questi abusi vorrebbe dire indebolire la tenuta del processo penale. Nordio non ha nessuna intenzione di indebolire la lotta al crimine, e accusarlo di avere questa intenzione è una clamorosa bugia, una falsità indegna di qualunque magistrato perbene. Ed è grave che venga rilanciata in maniera acritica dai soliti organi di stampa».
Lei sembra convinto
che sia la volta buona perché la politica non subisca i diktat delle toghe organizzate.«Sì. È cambiato il clima, è cambiato l'atteggiamento dell'opinione pubblica. E fortunatamente sono cambiati anche i giudici».
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