Dalla introduzione «un po' teoretica» ai rischi dell'«infosfera globale», è partita col botto l'era di Alessandro Giuli, audito dalle commissioni Cultura di Camera e Senato sulle linee programmatiche del suo dicastero.
Arrivato a via del Collegio romano sulla scorta di una lunga e significativa esperienza da giornalista, e dopo l'incarico di presidente della fondazione Maxxi, il nuovo ministro della Cultura è stato nominato ormai un mese fa, dopo le disavventure e le rocambolesche dimissioni di Gennaro Sangiuliano. Ed è arrivato preceduto dalla sua fama di amante della filosofia e della cultura.
Da neo ministro, ieri doveva presentare alle Camere il suo programma. Parlando di memoria, ha rivolto un affettuoso omaggio alla senatrice a vita Liliana Segre.
Quindi ha riconosciuto i meriti del predecessore e spiegato i suoi obiettivi. Ma ha deciso di farlo con un discorso molto «alto» e ambizioso, infarcito di citazioni, con uno stile irrituale per gli standard abituali del Parlamento. «La conoscenza è il proprio tempo appreso con il pensiero - ha spiegato, per esempio - Chi si appresta a immaginare un orientamento per l'azione culturale e nazionale non può che muovere dal prendere le misure di un mondo entrato nella dimensione compiuta della tecnica e delle sue accelerazioni».
Attoniti molti deputati e senatori. I più benevoli lo hanno definito «criptico». «Di fronte a questo cambiamento di paradigma - ha proseguito - la quarta rivoluzione epocale della storia delineante un'ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell'infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare». Ha citato «l'entusiasmo passivo, che rimuove i pericoli della ipertecnologizzazione», e «per converso l'apocalittismo difensivo che rimpiange un'immagine del mondo trascorsa». Infine ha domandato: «Siamo dunque precipitati nell'epoca delle passioni tristi?».
La sinistra non aspettava altro. Un 5 Stelle - da che pulpito - ha citato «Amici miei». «Forse pensava di essere ancora all'Università a dare un esame - ha incalzato Gaetano Amato - ma la sua audizione è stata davvero una supercazzola assurda».
«Un performer più che un ministro» per il Pd.«Ha delineato la sua visione sociale della cultura» ha risposto, sintetizzando, Alessandro Amorese, capogruppo di Fdi in commissione Cultura. Adesso dalle parole si passa ai fatti.
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