Ufficialmente è stata presentata come un'operazione anti-corruzione, in realtà Mohammed bin Salman, principe erede dell'attuale re saudita Salman Aziz al Saud, ha dato vita tra sabato e domenica a un autentico colpo di mano per far piazza pulita di tutte le personalità legate all'islam più radicale. L'Arabia Saudita si è svegliata oggi un po' meno integralista e con tutte le intenzioni di cancellare (ma ci vorrà tempo) l'immagine di paese in ostaggio del wahabismo, dove alle donne non è permesso neppure di salire in sella a una bicicletta o di frequentare un corso di laurea in ingegneria. Di fatto si è trattato di un autentico regolamento di conti iniziato il 23 gennaio del 2015, quando re Salman prese il posto del defunto Abd Allah. Nel fine settimana le manette sono scattate ai polsi di undici principi, quattro ministri, parecchi dignitari di corte e addirittura del comandante in capo della Marina militare. In tutto sono 38 persone, influenti, ed espressione di un islam che Riad sta cercando di rimuovere per rendersi più appetibile all'Occidente e per smarcarsi in via definitiva dagli ex alleati del Qatar, considerati da qualche tempo tra i primi finanziatori del sedicente Califfato islamico e della fratellanza musulmana in Egitto.
La tv di stato KSA1 ha fornito ieri mattina l'elenco delle persone finite in carcere, o sistemate ai domiciliari nelle suite del celebre hotel luxury Ritz-Carlton. Tra i nomi spicca quello di Alwaleed bin Talal, uno degli uomini più ricchi e influenti al mondo, imprenditore facoltoso e, fino a qualche settimana fa, consigliere personale del monarca. Le manette sono scattate ai polsi tra gli altri del ministro dell'Economia Adel Fakeih (sostituito dal suo vice), del capo della Guardia nazionale, il principe Mutaib bin Abdallah, uomo con pretese al trono e vicino all'ex principe ereditario Mohammed bin Nayef, liquidato da re Salman a giugno, per fare spazio al figlio Mohammed bin Salman. Ed è proprio lui, il giovane e ambizioso principe il regista di un'operazione senza precedenti. Secondo alcuni analisti Salman jr avrebbe ottenuto addirittura una sorta di «benedizione» dal presidente americano Trump nel dar vita alla rivolta senza spargimenti di sangue. «Mbs», è con il suo acronimo viene chiamato dalla stampa mediorientale, ha 32 anni, attualmente ricopre l'incarico di ministro della Difesa e ha dato il via all'intervento militare nello Yemen. Proprio come gli Usa alimenta la linea dura nei confronti dell'Iran e del piano nucleare degli Ayatollah. Ha rafforzato di recente un'alleanza strategica con il Libano, anche se proprio in queste ore il suo amico e premier Saad Hariri ha dato le dimissioni. Non è un caso che qualche settimana prima del «golpe» abbia dato alle stampe il libro «Vision 2030», mettendo nero su bianco un piano strategico presentato nel 2016, in risposta al «My Vision» dell'attuale leader, e alleato, degli Emirati Arabi Rashid Al Maktoum. Nella pubblicazione Mbs spiega come nei prossimi 15 anni l'Arabia Saudita ridurrà la propria dipendenza dall'oro nero, vendendo quote significative del gigante petrolifero Saudi Aramco e utilizzando il denaro per investimenti alternativi. Mbs vuole un'Arabia Saudita più dinamica, distante dalla dottrina religiosa, più aperta alle donne e pronta a sottoscrivere accordi con l'Occidente che oggi sembrano impossibili per via dell'islam oscurantista che ha sequestrato ogni apparato politico e della vita pubblica. La «Vision» del principe è ambiziosa e scevra di sentimentalismi.
Il padre Salman, colpito da un ictus prima ancora di diventare monarca, non gode di ottima salute. Ha 82 anni e il cambio della guardia potrebbe avvenire prima del previsto, e a questo punto senza più pericolosi pretendenti alla successione.
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