Il primo di troppi misteri è la sproporzione fra le carte trovate e quelle che potrebbero e dovrebbero essere da qualche parte. «Non possiamo certo pensare - spiega Antonio Ingroia, ex pm e oggi avvocato - che i pizzini rinvenuti siano l'archivio di Matteo Messina Denaro». E allora? «Dobbiamo immaginare - aggiunge Ingroia - che nel momento in cui il boss ha capito di essere vulnerabile per via del tumore, ha deciso di affidare le carte a mani meritevoli».
Misteri & segreti. Messina Denaro, seguendo la tradizione dei capi di Cosa Nostra, ha messo in salvo il suo patrimonio di conoscenze e il suo tesoro. Certo, non possiamo accettare che la ricchezza del boss fosse la somma di qualche modestissimo appartamento a Campobello di Mazara, dove ha trascorso gli ultimi tempi con un tenore di vita ordinario e perfino le puntate al supermercato come qualunque massaia. «Sappiamo che spesso andava all'estero e le sue tracce arrivano fino a New York - racconta Ingroia, a lungo pm in prima linea alla procura di Palermo -, possiamo ritenere che per un certo periodo Messina Denaro sia stato l'ambasciatore di Cosa nostra, anche perché rispetto alla media dei mafiosi aveva un'intelligenza superiore e una cultura meno modesta. Io sono convinto che in Italia siano rimaste solo le briciole, il resto, del valore di alcuni miliardi, dovrebbe essere all'estero».
Salterà fuori la rete dei fiancheggiatori con il colletto bianco? È uno degli interrogativi che questa morte pone. Messina Denaro non era certo nella posizione strategica di Provenzano e Riina ma sicuramente aveva i codici per decifrare alcune delle grandi questioni rimaste senza soluzione negli ultimi anni. Tanto per cominciare, è fra gli organizzatori delle stragi del '93 e proprio in quell'estate inizia la sua interminabile latitanza, andata avanti per un trentennio circa. Perché Riina decise quel bagno di sangue? C'era qualche mandante oltre il perimetro invalicabile di Cosa nostra? Se si, è lecito pensare che Messina Denaro abbia avuto un'interlocuzione diretta o indiretta con questi soggetti, anche perché l'uomo era più presentabile, più evoluto di Riina.
Ancora prima, nel '92, c'è un episodio che non si è mai chiarito. Riina stabilisce di far fuori Giovanni Falcone e spedisce a Roma una squadra di fedelissimi fra cui Messina Denaro. Poi, all'improvviso comunica che l'attentato verrà realizzato in Sicilia. Perchè quel cambio di rotta? Ora anche Messina Denaro se n'è andato e le domande restano punti interrogativi che turbano le nostre coscienze. Il 15 gennaio 1993, mentre tutto questo è in corso, ecco che Riina viene catturato a Palermo. Il covo però non viene setacciato e i soldati di Cosa nostra fanno sparire tutto. Dove finiscono i documenti? L'ipotesi, avanzata anche da un pentito come Nino Giuffré, è che gli incartamenti siano stati consegnati proprio a Messina Denaro. Ci sta. Le stagioni si susseguono e la politica sanguinaria del capo dei capi' cede il passo a quella meno eclatante è più mimetizzata di Provenzano. Sembra di raccontare le diverse fasi nella vita di uno stato e in effetti Cosa nostra è un'organizzazione strutturata e organizzata. Troppo spesso si è fantasticato di terzi livelli, ma resta il fatto che per una breve stagione Cosa nostra ha dichiarato guerra all'Italia e alle sue istituzioni. E certo non si può scolorire la biografia di un leader criminale, togliendogli spessore e profondità. Le zone d'ombra sono la controprova di un potere occulto e feroce e di relazioni che, complici pure le logge massoniche deviate di Trapani, arrivano fin dentro la società civile.
Semmai, si può prendere con le pinze la testimonianza di Salvatore Baiardo, in
generale figura poco credibile: per lui arriva a Messina Denaro anche l'agenda rossa di Paolo Borsellino. Ma la parola di Baiardo è sempre stata scivolosa. Potrebbe essere una fake. In mezzo a storie vere, scolpite nel silenzio.
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