Armi russe all'Iran. Così Mosca gioca la sua partita doppia

Putin punta a contrastare gli Stati Uniti ma anche a rafforzare l'intesa energetica

Armi russe all'Iran. Così Mosca gioca la sua partita doppia
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Da quando gli iraniani hanno iniziato a fornire alla Russia i micidiali droni kamikaze Shahed, il presidente russo Vladimir Putin ha messo a disposizione dei suoi amici ayatollah armamenti sempre più sofisticati. Non sorprende quindi più di tanto la notizia rilanciata ieri dall'emittente di Tel Aviv Channel 14 dell'arrivo a Teheran di nuove armi, in preparazione di una guerra contro Israele. Secondo diversi report, Mosca avrebbe dispiegato sistemi avanzati di guerra elettronica in Iran, compresi quelli che possono danneggiare o bloccare sistemi militari fino a 5mila chilometri di distanza, facendo inoltre atterrare nelle basi iraniani di Isfahan e di Doshan Tappeh aerei da trasporto Ilyushin con munizioni e Iskander, missili balistici ampiamente utilizzati nell'Operazione Speciale.

In realtà le operazioni degli ultimi giorni sono soltanto la punta dell'iceberg degli accordi militari tra Mosca e Teheran. Lo scorso novembre la Tass aveva annunciato la conclusione dell'accordo per la fornitura dei Su-35s, caccia multiruolo russo di ultima generazione con una velocità e un raggio d'azione doppia rispetto al Sukhoi-24. I jet in questione sono stati consegnati a marzo, così come gli S-300 anti-missile forniti da Mosca dopo una lunga querelle con la comunità internazionale. Su questo fronte, dati e conversazioni segrete intercettate da gruppi hacker, rilanciate dal Washington Post, raccontano di un incontro tra una delegazione iraniana e un gruppo di produttori russi in una fabbrica, la Npp Start, nei pressi di Ekaterinburg, all'incirca un anno fa.

Mosca ha qualcosa da guadagnare dalla guerra scoppiata il 7 ottobre, perché il conflitto presta il fianco alla narrazione di Stato secondo cui le politiche occidentali per il Medio Oriente, in primis quelle statunitensi, sarebbero sempre state inefficaci se non addirittura dannose. Sul fronte russo ci sono tre anime: quella di Putin, che enfatizza il fallimento delle politiche americane in Medio Oriente, una diplomatica, invocata da Sergej Lavrov, che si è reso disponibile a lavorare fianco a fianco con la Lega araba per risolvere il conflitto, e l'altra del ceceno Ramzan Kadyrov, che ha più volte espresso solidarietà ai paesi musulmani e alla causa palestinese. Soltanto otto anni fa, schierandosi a fianco del presidente della Siria Bashar al-Assad in una guerra che di fatto metteva la Russia contro l'Occidente, Putin era ancora riuscito a sembrare a molti politici occidentali un alleato scomodo, ma credibile, e necessario nello scontro con il fondamentalismo dell'Isis. Oggi, con Israele e Ucraina sostenute da Stati Uniti ed Europa, schierarsi a fianco di Hamas e dell'Iran diventa abbastanza inevitabile per il leader del Cremlino.

Il desiderio di Mosca di tornare a contare come forza diplomatica negli affari internazionali, ossia ai livelli raggiunti prima del conflitto in Ucraina è palpabile. Un desiderio che diviene un imperativo ai fini di risollevare l'immagine di una potenza militare ammaccata dalla campagna in Ucraina che va avanti da quasi due anni e mezzo.

Mosca, insomma, piazza armi in Iran non per entrare direttamente in guerra, semmai per rafforzare l'intesa di natura energetica, preziosa per entrambi i Paesi sottoposti a sanzioni. Non è certo un mistero che il rinnovato salto di qualità nel rapporto russo-iraniano preveda la costruzione di otto reattori in Iran.

In virtù di tale intesa, Teheran otterrà le centrifughe necessarie all'arricchimento dell'uranio, concedendo in cambio a Mosca la possibilità di gestire il combustibile nucleare da riconsegnare agli iraniani sotto forma di barre utilizzabili, almeno sulla carta, per uso civile.

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