Lugansk (Donbass). I T72 si rincorrono come draghi squamosi solcando la bruma della pianura. Di tanto in tanto uno dei due carri armati s'arresta, brandeggia l'affusto e sputa una fragorosa alitata di fumo e fiamme. Le granate esplodono un chilometro più in là infiammando gli arbusti della collinetta all'orizzonte. A seicento metri da noi sciamano i fanti. «Vni zu», «tutti giù», grida l'ufficiale mentre la fila di giubbotti antiproiettile ed elmetti rotola a terra vomitando caricatori di kalashnikov contro immaginari nemici. Siamo a una trentina di chilometri da Lugansk in una località che per motivi di sicurezza non ci è permesso di annotare. Nell'ondeggiante pianura davanti a noi si addestrano i cosiddetti «mobilizzati». Una piccola parte dei 300mila richiamati che il Cremlino si prepara a inserire tra i suoi effettivi. «Da qui si va direttamente in prima linea per questo dobbiamo impegnarci al meglio. Questi soldati - spiega l'istruttore mascherato che coordina le manovre - hanno già servito nelle nostre forze armate, ma dobbiamo riabituarli al più presto alla battaglia perché fra poco ci finiranno in mezzo. Per questo cerchiamo di addestrarli a tutti i tipi di scontri, da quelli nella boscaglia e sulla neve a quelli urbani e di trincea. Ma cerchiamo soprattutto di far loro riprendere confidenza con tutte le armi a disposizione, dal semplice kalashnikov ai lanciagranate anticarro».
Immaginare a quale fronte siano destinati queste reclute non è difficile. A poche decine di chilometri da qui passano le linee di Lysychansk e di Kremenoy. Lì i russi, i loro alleati ceceni e quelli delle Repubbliche indipendentiste di Lugansk e Donetsk hanno stabilito una nuova linea di difesa dopo la ritirata da Lyman di fine settembre. Da lì indietreggiare ulteriormente non si può, pena la perdita dei territori conquistati durante l'offensiva d'inizio estate. In verità il generale Sergey Surovkin, nuovo comandante in capo delle forze russe in Ucraina, guarda a questi uomini per lanciare la spallata capace di ricacciare indietro gli ucraini e prendersi quel 40 per cento dei territori del Donetsk ancora sotto controllo di Kiev. Riuscirci significherebbe consentire a Vladimir Putin di chiudere la prima mano della partita, rivendicando il conseguimento degli obbiettivi indicati al via dell'Operazione Speciale, concedendo un cessate il fuoco e proponendo una trattativa. Ma c'è da chiedersi se questi soldati rappresentino una vera forza di sfondamento. Nessuno di loro è più molto giovane, sotto divise e giubbotti antiproiettile s'indovinano curve arrotondate. Anche armi, attrezzature e protezioni hanno valicato l'arco del ventennio e contrastano non solo con gli equipaggiamenti esibiti dai reparti ucraini riforniti dalla Nato, ma anche con quelli ben più moderni dei reparti russi schierati in prima linea. Quindi è molto probabile che mobilizzati e riservisti servano soprattutto a ricompattare le seconde e le terze linee o a garantire parziali ricambi alle unità di combattimento provate dalle perdite degli ultimi mesi. Peggio dei mobilizzati russi stanno, comunque quelli della Repubblica di Lugansk che si addestrano in un altro settore del campo. Qui molti dei mezzi e dei blindati sono gli stessi visti all'opera in Afghanistan negli anni Ottanta. A differenza dei mobilizzati russi quelli della repubblica di Lugansk sono tutti volontari anche se l'età media resta tra i 35 e i 40. La vera differenza la fa la paga. Gli ultimi aumenti decisi dalle repubbliche indipendentiste hanno portato il salario dai 74mila rubli (poco più di 1000 euro) d'inizio guerra ai ben 200mila rubli attuali pari a quasi 3mila euro.
«Lavoravo in una miniera di carbone - racconta il 36enne Iuri - ma devo pensare ai miei genitori, a mia moglie e ai nostri due figli. Così posso garantire loro qualche soldo e al tempo stesso difendere sia loro, sia la mia patria».
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