Ascesa e declino del premier per caso, adesso si gioca tutto

Ascesa e declino di Giuseppe Conte. L'avvocato di Volturata Appula diventato premier per caso oggi sale al Colle per sopravvivere

Ascesa e declino del premier per caso, adesso si gioca tutto

Agitare lo spauracchio del voto anticipato non è servito a scantonare la crisi. Giuseppe Conte oggi sale al Colle per sopravvivere. Questa volta si gioca tutto, ma più si guarda intorno e più quello che cerca gli appare lontano. I costruttori non hanno voluto salvare il suo secondo governo e non mostrano grande voglia di riportarlo a Palazzo Chigi per la terza volta.

I passi verso il Quirinale sono al buio e durante il tragitto in tanti cercheranno di spingerlo fuori dai giochi. Ci ha provato anche questa volta a fare finta di nulla. Galleggiare è la sua specialità. Se non ti muovi non rischi di cadere. Se non dici crisi non arriva. Solo che non sempre funziona. Adesso gli tocca sperare nell’imponderabile. C’è chi dice sia una scommessa impossibile, ma non c’è nulla di impossibile per un miracolato.

Nato nel 1964 a Volturata Appula, comune del Foggiano di poche centinaia di anime, Conte è figlio di un impiegato comunale e di una professoressa. È un figlio della provincia profonda che sogna di farsi strada nella vita ed uscire dal borgo. Studia a La Sapienza e riempie il curriculum di esperienze blasonate. La fortuna lo bacia nel 2013. Il Movimento Cinque Stelle è a caccia di figure autorevoli e gli chiede la disponibilità ad entrare nell’organo di autogoverno della Giustizia amministrativa.

Ai tempi l’avvocato condivideva lo studio con il professor Guido Alpa e la politica già l’aveva sfiorato. Il suo illustre collega lo aveva mandato avanti per agganciare l’allora astro nascente Matteo Renzi. Operazione che però non ebbe grande fortuna. Così quando arriva l’opportunità di un incarico pubblico accetta pur chiarendo di non essere né un elettore né un simpatizzante del Movimento. È la storia di un provinciale che cerca un palcoscenico.

Sa adattarsi. È mimetico e questa sarà la sua grande forza, il suo talento. Conte ispira fiducia. Per come parla, per come veste, per i toni pacati e per la penna stilografica. Non è uno scamiciato. Se dice vaffa lo fa sussurrando. È il volto buono di un grillino a Palazzo Chigi. È grazie al Movimento che esce dal sottobosco accademico e viene notato dalla stampa. È lui a presiedere la Commissione disciplinare che porta alla destituzione di Francesco Bellomo, l’ex giudice barese finito nello scandalo delle borsiste.

Il grande pubblico però lo conoscerà solo nel 2018. L’allora candidato premier a Cinque Stelle Luigi Di Maio lo presenta nella possibile squadra di governo, indicandolo come ministro alla Pubblica amministrazione. Da lì diventa premier. Non proprio: garante, si dirà, del patto di governo tra Lega e Movimento. Lui si autodefinisce "avvocato del popolo" ma il suo ruolo assomiglia piuttosto a quello di un contabile.

Il matrimonio gialloverde però non è tutto rosa e fiori e Conte un po’ fa il notaio, un po’ fa il Re Travicello che si barcamena tra Salvini e Di Maio. Fino a quando le zuffe tra i due alleati fanno emergere, con quel fare discreto ed elegante, proprio le sue qualità da camaleonte. L’uomo venuto dal nulla sale nei sondaggi. Conte capisce che può ambire a qualcosa di più. Il gran colpo lo fa quando conduce la trattativa con la Commissione europea sul Def. Rassicura l’Europa ed i mercati e si guadagna la fiducia del presidente Mattarella.

Inizia a questo punto la metamorfosi del premier per caso, che si compie quando la Lega manda all’aria il governo gialloverde. Conte si cimenta in una ruggente arringa difensiva nei confronti dell’operato del governo. Le parole che rivolge a Salvini non sono tenere."Se c'è mancanza di coraggio me l’assumo io di fronte al Paese che ci riguarda e prendo atto che il leader della Lega che ha stentato nella leale collaborazione manca nel coraggio di assumersi la responsabilità dei suoi comportamenti (…) Se gli manca il coraggio dal punto di vista politico, me la assumo io".

Il 20 agosto 2019 rimette il mandato nelle mani del presidente della Repubblica. Il 29 ne riceve uno nuovo. Non è un salto nel buio. I grillini e il Pd si scoprono alleati. Il matrimonio che sembrava impossibile si può fare. L’idea è di Renzi: facciamo un patto per non regalare l’Italia a Salvini. Prendono tempo. L’obiettivo è arrivare fino al 2022 per eleggere un presidente della Repubblica doc. Conte si cambia d’abito e rinnova la tradizione italiana del trasformismo.

Ma quanto può durare una maggioranza senz’anima? In teoria poco, nella realtà a tenerli insieme è l’emergenza, la necessità. Prima lo spettro del sovranismo, poi a sorpresa la minaccia invisibile di un virus più crudele di quanto si potesse immaginare. È la pandemia. Il Conte numero due si ritrova a guidare l’Italia nell’ora più buia. Nessuno nei lunghi e tristi mesi di primavera si accanisce contro il premier per caso. Sono i giorni della quarantena e si cerca la speranza cantando dai balconi.

La fragilità di Conte si vede con l’arrivo dell’estate. Non è un uomo capace di immaginare il futuro. Il suo sguardo non va oltre la settimana e il tempo viene scandito da una raffica di Dpcm. Non trova il tempo per andare in Parlamento. Non ha un piano per la seconda ondata. Non progetta la ricostruzione. Non sa cosa fare dei fondi europei. È il volto dell’immobilismo.

È quello che gli rimprovera Renzi e qui arriva la crisi.

Il futuro gli è arrivato in faccia più veloce di quanto si aspettasse. Prova a salvarsi, ma si accorge al di là di parole e rassicurazioni di essere solo. L’avvocato del popolo è nudo e sul suo nome adesso non sono più pronti a scommettere neppure i grillini.

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