Le atrocità in Myanmar. Dagli spari al funerale all'uomo bruciato vivo

L'esercito uccide anche un'infermiera di 21 anni: stava soccorrendo alcuni feriti

Le atrocità in Myanmar. Dagli spari al funerale all'uomo bruciato vivo

Non si ferma l'orrore in Myanmar. La polizia e l'esercito continuano a macchiarsi di crimini agghiaccianti. Ieri le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco sulla folla in lutto, durante il funerale di una delle 114 persone barbaramente uccise sabato, il giorno più sanguinoso dall'inizio delle proteste contro il colpo di Stato militare del 1° febbraio.

Mentre amici e familiari si sono riuniti per dare l'estremo saluto a Thae Maung Maung uno studente di appena vent'anni nella città di Bago, l'esercito è arrivato all'improvviso e ha iniziato a sparare. «Stavamo cantando la canzone della rivoluzione quando hanno fatto fuoco contro di noi», ha raccontato Aye, una delle donne presenti. «Per fortuna siamo riusciti a scappare».

In un piccolo comune di Mandalay, i soldati hanno bruciato vivo un uomo. Il quarantenne Aye Ko è stato prima colpito da un proiettile, poi è stato preso dai militari e gettato sopra a una pila di pneumatici in fiamme. I testimoni hanno raccontato che mentre era agonizzante «ha provato a chiedere aiuto», ma a causa dei continui spari delle forze di sicurezza contro la folla è «stato impossibile salvarlo». L'uomo, che manteneva la sua famiglia vendendo nelle strade del quartiere bevande gelatinose al riso, lascia quattro figli.

Gli uomini del Tatmadaw l'esercito birmano hanno anche ucciso Thinzar Hein, un'infermiera ventunenne a Monywa, nella regione di Sagaing. La giovane ragazza è stata centrata alla testa mentre stava portando soccorso ai feriti. A Hlaing, un distretto di Yangon, i soldati hanno lanciato granate verso i manifestanti. Un residente ha raccontato che sin «dalle prime ore della mattina i militari hanno aperto il fuoco», puntando i fucili contro i residenti radunati per le proteste.

«Condanniamo l'uso di forza letale contro persone disarmate da parte delle forze armate birmane e dei servizi di sicurezza associati», si legge nel raro comunicato congiunto firmato ieri dai capi di Stato maggiore di Usa, Canada, Regno Unito, Germania, Italia, Grecia, Danimarca, Paesi Bassi, Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda. «Un esercito professionale segue le regole di condotta internazionale e la sua responsabilità è proteggere non colpire il popolo che serve», prosegue la nota. «Esortiamo le forze armate del Myanmar a lavorare per ripristinare il rispetto e la credibilità persa con le loro azioni di fronte al popolo birmano».

Mentre il relatore speciale delle Nazioni Unite Tom Andrews ha affermato che la giunta dovrebbe essere tagliata fuori da tutti i finanziamenti e dall'accesso a qualsiasi tipo di armamento. «Le parole di condanna o preoccupazione per la situazione in Myanmar suonano francamente vuote al popolo del Paese, finché i militari continuano a commettere omicidi di massa contro di loro», ha scritto in una nota, chiedendo di organizzare immediatamente un vertice di emergenza dell'Onu.

Intanto nello Stato Karen è guerra. I caccia del Tatmadaw hanno bombardato alcuni villaggi nel distretto di Mutraw, costringendo 7mila civili alla fuga. In 3mila sono riusciti ad attraversare il fiume Salween e a rifugiarsi in Thailandia.

L'area è controllata dalla 5° brigata del Karen National Liberation Army (Knla), una delle guerriglie più antiche del Paese che da oltre settant'anni si batte per uno Stato federale. La risposta dell'esercito è arrivata dopo che il gruppo ribelle ha occupato due giorni fa la base militare birmana di Thi Mu Hta e ha dato rifugio a molti dissidenti fuggiti dalle violenze dei generali.

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