«Il problema della giustizia non è un problema di correnti e non si risolve neppure con la separazione delle carriere fra giudici e pm. Il problema della giustizia è un problema di uomini. Cosa chiediamo ai giudici? La correttezza, l'imparzialità. È questa la giustizia». A Franco Coppi, professore emerito di Diritto Penale, principe del foro, avvocato che ha difeso Giulio Andreotti, Silvio Berlusconi, Gianni De Gennaro, domandiamo se è possibile fidarsi ancora della magistratura dopo il caso Palamara.
Sono passati anni dal suo primo processo. I suoi sono ottantadue. Avrebbe paura di farsi giudicare da questa giustizia?
«Indipendentemente da quello che stiamo leggendo in questi giorni, avrei paura comunque. Sì, avrei paura di farmi giudicare dalla giustizia italiana. Faccio mie le parole di un vecchio criminalista. Se mi accusassero di aver rubato la Torre di Pisa, scapperei immediatamente». Lo diceva Francesco Carrara. Mi ritrovo».
Al telefono, Luca Palamara, già consigliere del Csm, ex presidente dell'Anm, diceva che «Matteo Salvini è una merda. Va fermato». Parlano così i nostri magistrati?
«Tolta la toga, i magistrati tornano uomini. Questo è purtroppo anche il loro vocabolario».
Si può consegnare il giudizio a uomini che agivano in maniera tanto incontrollata e disinvolta? Professore, come può un imputato, e non parliamo solo di un leader politico, non provare spavento?
«La sensazione è infatti quella dello sconcerto e dello sconforto profondo. Quella che sta emergendo è un'idea antagonista all'idea che dobbiamo avere del giudice. Quelle parole addolorano e avviliscono».
In passato ha parlato di degrado, di giustizia impazzita. Sta collassando la nostra civiltà giuridica?
«Si sta perdendo il rigore. Scende il livello dell'avvocatura, della magistratura. Non so dire quando è cominciato tutto, ma so che è un processo in atto, una congiura verso l'abbassamento. La giustizia è in crisi. Per Francesco Carnelutti la crisi è il momento culminante della malattia. Dopo viene la convalescenza. Ma la malattia va curata. Deve essere curata».
Si può parlare di sporcizia, di commercio di cariche, anzi, parlando della sacralità della giustizia, si può dire che c'è stata simonia all'interno del Csm?
«Si può qualificare con i termini che si ritengono più appropriati. Sporcizia può essere sicuramente uno di questi. Per quanto riguarda le cariche e il mercimonio, non mi meravigliano i tentativi perché li collego all'istituto della corrente. Fino a quando ci saranno correnti inevitabile sarà la corsa a piazzare gli appartenenti».
Il presidente dimissionario dell'Anm, Luca Poniz, ha parlato di «disegno per colpire la magistratura». A essere colpiti dai comportamenti - che siamo sicuri non sono di tutti i magistrati - siamo noi. E però, dicono che i colpiti sono loro.
«Posso anche io fare l'elogio dei giudici e ricordare quanti ottimi ce ne siano. Alla fine, questa è la prova che ci sono giudici, pm che riescono a guardarsi dentro. Ma che esista un disegno per colpire la magistratura, ebbene, mi sembra un'affermazione priva di senso. Ci vuole estrema cautela, evitare toni enfatici».
In televisione è andato in onda uno scontro mai visto fra il ministro della Giustizia e un componente del Csm come Nino Di Matteo. È questa la cautela?
«È stato qualcosa di inopportuno. Ha sgomentato pure me. Non si possono liquidare problemi così importanti in quattro battute. È accaduto».
Per risolvere la più grave crisi della magistratura si parla nuovamente di separare le carriere. È dello stesso avviso?
«Ho maturato la convinzione che non serve neppure questo. Se oggi giudice e pm sono fratelli, separandole sarebbero cugini. Una volta immessi in magistratura andrebbero invece valutati continuamente, verificate le loro condotte. Questo andrebbe fatto».
Dunque neppure abolire le correnti?
«Non si impedirà comunque ai magistrati di riconoscersi in alcune idee comuni. Non è questo lo scandalo, ma la correttezza del giudice, l'imparzialità».
È necessario sciogliere il Csm?
«Bisogna vagliare con prudenza ogni singolo comportamento, senza farci prendere dall'isteria, evitando di generalizzare. Solo valutando con serenità si potrà stabilire se sarà opportuno lo scioglimento, girare pagina e ricominciare».
A distruggere l'immagine di alcuni magistrati sono le intercettazioni che, in molte occasioni, hanno distrutto le esistenze degli imputati. È un contrappasso?
«È impensabile rinunciare alle intercettazioni. Ma è giusto disciplinare il loro impiego, fare in modo che il loro utilizzo non vada al di là della ricerca della verità. Servono solo se aiutano a formare il giudizio e non a sporcare le esistenze».
È sicuramente il legale che tutti gli italiani conoscono. Da avvocato riuscirebbe a difendere ancora la giustizia?
«Avrei argomenti buoni. Sarei capace di farlo malgrado sia una povera giustizia».
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