Basta "hub". Viva il centro che è italiano.

Non chiamatelo hub. Non è per diffidenza verso le parole degli altri. Non è per il rifiuto sciovinista dell'inglese come lingua universale. È solo per non cancellare il nome che noi diamo alle cose.

Il premier Mario Draghi
Il premier Mario Draghi

Non chiamatelo hub. Non è per diffidenza verso le parole degli altri. Non è per il rifiuto sciovinista dell'inglese come lingua universale. È solo per non cancellare il nome che noi diamo alle cose. L'italiano è una lingua dotta e ricca, con tante sfumature. Per indicare quel luogo dove si radunano le merci, in questo caso i vaccini, non serve un grande sforzo di fantasia. Le parole ci sono. Basta ricordarle. Magazzino vi evoca troppo il máxzan arabo? Allora si può usare fulcro, perno, snodo, base, cardine, ganghero, nodo, ganglio, pietra d'angolo. Mario Draghi, a Fiumicino, lo ha chiamato semplicemente centro. Centro vaccinale. E poi ci ha scherzato un po' su. «Smart working, baby sitting... Chissà perché dobbiamo utilizzare tutte queste parole in inglese». Già, chissà? Forse per sentirci più intelligenti, competenti, del mestiere. Dici «hub» e sembra che le cose le sai. Dici «hub» e ti vedi appunto al centro del mondo. Non sei provinciale. Magari è solo per pigrizia. Qualcuno ha letto un manuale sull'organizzazione dei voli aerei e non sapeva come definire in italiano gli aeroporti strategici. Allora ha detto «hub» e poi tutti in fila a dire «hub». Fino a quando perfino la chiesa più importante di un paese è diventata «hub». Il gioco è facile.

Se tutte le strade portano a Roma possiamo dire che Roma è un mega «hub». Non più caput mundi. È la malattia che colpisce Macondo in Cent'anni di solitudine. Tutti dimenticano il nome delle cose. È colpa dell'insonnia (o di una crisi d'identità).

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