Una battaglia dai toni sbagliati

Piero Fassino è un politico stimabile ma è gravato da due difetti

Una battaglia dai toni sbagliati
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Piero Fassino è un politico stimabile ma è gravato da due difetti. Uno sta nella incapacità di previsione: il genere profezia di Fassino (al contrario) spopolava fino a poco tempo fa sui social. La seconda è la comprensione della tempistica. Proprio nel momento in cui monta la protesta sul reddito di cittadinanza e i parlamentari cercano di conservare o di riprendersi i loro vitalizi, e di alzare il proprio stipendio, egli se ne esce con una trovata da politica spettacolo, per cui è negato: mostrare la busta paga in Parlamento. 4718 euro netti. Ed è riuscito ad aggiungere, «non è uno stipendio d'oro». Se potessi avere 4000 euro al mese, per parafrasare una celebre hit del 1939. Peccato che la paga media in Italia sia di 2200 euro lordi, cioè molto meno della metà del non «stipendio d'oro». Un boomerang assoluto. Un po' per l'espressione triste e dolente di Fassino, un po' soprattutto perché non è neanche vero quello che ha detto: tra varie indennità aggiuntive, la paga reale di un parlamentare arriva a essere molto più del doppio rispetto a quanto mostrato da Fassino. Quello dello stipendio dei politici, o per meglio dire dei parlamentari, è un vecchio cavallo di battaglia del populismo, fin dai tempi della prima Lega di Bossi, anche se sono stati i 5 stelle a porlo ancora più al centro. É un obiettivo facile e al tempo stesso acchiappa voti. Ma non si riesce mai a risolvere. Forse perché è mal posto. Allora qui vi sono due strade. Una radicale: l'eliminazione della indennità. I parlamentari avranno diritto solo al rimborso spese. Il ritorno cioè all'Italia liberale e monarchica, che non pagava i parlamentari - e ciò non impedì a operai e a contadini, rari è vero, di diventarlo. Altrimenti, la soluzione opposta: alzare ancora di più l'indennità dei parlamentari. Ponendo però più rigide condizioni. Ad esempio sulle presenze: già oggi vi è una quota della indennità che dipende dalla presenza in aula e nelle commissioni parlamentari al momento del voto. Ma è minima, e non comprende tutte le altre attività parlamentari. Ad esempio si potrebbe graduare l'indennità in base ai progetti di legge: vi sono parlamentari che hanno passato intere legislature senza presentarne neppure uno. Si potrebbe poi rendere incompatibile il mandato parlamentare con le professioni liberali: oggi per esempio è già così per professori universitari, magistrati e altre figure di dipendenti statali.

Ma se la logica è pagare di più gli eletti perché si dedichino solo a quello, se contemporaneamente essi svolgono anche altre professioni quanto tempo, testa e presenza potranno dedicare a Montecitorio o a Palazzo Madama? Insomma, è lo stessa tema che riguarda la carica di sindaco: se si desidera che ad amministrare le nostre città o a rappresentarci in Parlamento non siano figure che hanno scelto la politica come via per sbarcare (alla grande) il lunario, ma che siano i migliori del paese, bisogna compensarli adeguatamente. Perché altrimenti seguiranno altre carriere: come fanno ora.

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