Nel 2011 fu l'Italia a finire sotto al giogo di un intreccio fatto di spread e politica, che portò alla caduta del governo guidato da Silvio Berlusconi e all'arrivo di Mario Monti e della sua manovra «lacrime e sangue». Due anni prima era stato il turno della Grecia, che dovette subire una cura da cavallo per uscire da una crisi drammatica. Oggi, quasi 13 anni più tardi, la sensazione del corso e ricorso storico si manifesta guardando a quello che sta accadendo in Francia. Il pericolo c'è, del resto: se dalle elezioni non dovesse uscire un risultato chiaro, allora il Paese è a rischio ingovernabilità con tutto quello che ne potrebbe conseguire sui mercati, tra vendite di titoli di Stato e spread che sale. Stavolta, però, nell'occhio del ciclone finirebbe la seconda più grande economia dell'eurozona, con un debito da oltre 3.100 miliardi, una montagna cresciuta di 551 miliardi tra il 2020 e il 2023. Un attacco sul debito francese potrebbe provocare una slavina finanziaria. Non è difficile capire che sarebbe un problema per tutti: Italia compresa, che essendo un Paese ad alto debito e con robusti legami con la Francia potrebbe essere contagiata.
Un'affermazione netta della destra del Rassemblement National di Marine Le Pen e Jordan Bardella - per quanto invisa all'establishment europeo - non dovrebbe infiammare lo spread immediatamente, ma certo porterebbe su Parigi una spada di damocle bella grossa con un presidente francese (Emmanuel Macron) ostile e autore dell'azzardo delle elezioni anticipate proprio per imbrigliare i suoi avversari oltre allo sguardo severo del vicino tedesco. È stato piuttosto chiaro, infatti, il messaggio in codice lanciato dal ministro delle Finanze tedesco, Christian Lindner: «Parigi rischia una tragedia finanziaria. Potremmo opporci all'intervento di Christine Lagarde». La Banca centrale europea, ha scritto nei giorni scorsi il Financial Times, dovrebbe essere pronta a spalancare il suo scudo anti-spread nel caso di ondate di vendite sul debito francese. Ma sta di fatto che la Germania, nel board della Bce, ha un certo peso e capacità di influenzare il blocco dei falchi nel caso un futuro governo di destra dovesse aprire troppo i cordoni della Borsa, cosa invisa a Berlino che invece pretende di infliggere agli altri l'austerità che pratica a se stessa (non senza danni).
A rievocare quello che accadde nel 2011 in Italia, ci sono anche i numeri dell'economia francese che restituiscono un Paese con il fiato corto. Una situazione non dissimile, anche nei numeri, all'Italia di allora. Da un lato, infatti, c'è un rapporto tra debito e Pil che sfiora il 111% (l'Italia era intorno al 120%) e un deficit schizzato nel 2023 al 5,5%, a tal punto da spedire la Francia tra i «cattivi» sotto procedura Ue per deficit eccessivo. Dall'altra una disoccupazione salita al 7,5% (più alta dell'Italia, che oggi è al 7,2%) e una crescita poco brillante: il Pil è salito solamente del 2,2% dall'ultimo trimestre 2019 (appena prima del Covid) fino a oggi. L'Italia, nello stesso periodo, è avanzata di più del doppio (+4,6%). La bassa crescita e la traiettoria del debito, quindi, mettono un mirino addosso a Parigi da parte delle agenzie di rating: S&P, per esempio, ha di recente declassato di un gradino la Francia, così come lo aveva fatto Fitch pochi mesi prima.
Il Paese gode di un merito creditizio ancora alto, ma - come aveva sostenuto Fitch con la decisione di declassarlo - il rischio di disordini sociali può portare la Francia su una traiettoria molto pericolosa. Ed ecco che l'intreccio tra finanza e politica è pronto a stringersi ancora, stavolta sulla Francia.
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