Berlino si pente e "piccona" il Patto

La Buba: "Ora più debito". L'Ue fa un pasticcio pure col Mercosur, Coldiretti all'attacco

Berlino si pente e "piccona" il Patto
00:00 00:00

«Schuldenbremse, Kaputt!». Più che il grande capo dell'inflessibile Bundesbank, Joachim Nagel pare l'addormentato nel mosto ridestato improvvisamente dalla Principessa Realtà. Dopo l'ubriacatura cronica rimediata per aver ingurgitato ettolitri di ordoliberismo, il nostro Joachim s'è accorto che la Germania sta male, stretta com'è nella morsa di una recessione perniciosa aggravata dalla crisi forse esiziale dell'automotive, ex colonna portante del modello tedesco. Così male che il prossimo governo dovrebbe riformare il «freno al debito», la regola capestro che sbarra il deficit allo 0,35% del Pil impedendo, di fatto, manovre espansive. Pur di difendere quel vincolo da austeri duri e puri, il ministro delle Finanze Christian Lindner ha preferito immolarsi, trascinando con sé la coalizione semaforo guidata da Olaf Scholz. Nagel preferisce invece fermarsi a un passo dal baratro, certificando che l'era del celodurismo contabile è finita. Servono quattrini pubblici per affrontare sfide strutturali come l'aumento delle spese per la difesa, ora che Donald Trump è pronto a batter cassa presso i membri della Nato, e per ammodernare una rete infrastrutturale che necessita di interventi per almeno 400 miliardi di euro. Insomma, una picconata al muro del rigore, voluto proprio dai tedeschi, che cinge il nuovo Patto di Stabilità (e crescita) europeo. L'impianto impone ai paesi più indebitati, tipicamente quelli «spendaccioni» bagnati dal Mediterraneo, di correre a rimediare pena la procedura di infrazione: i paesi, come l'Italia, con debito superiore al 90% del Pil, devono tagliarlo in media dell'1 % all'anno. Per le nostre casse pubbliche significa più o meno 10 miliardi.

Ampliare lo spazio fiscale per questi investimenti - ha detto il numero uno della Buba in un'intervista al Financial Times - sarebbe un approccio «molto intelligente». Lo sarebbe stato anche molto prima, poiché la Germania è da anni azzoppata da una crescita asfittica, aggravatasi negli ultimi tre anni a causa del venir meno dell'energia a basso costo importata dalla Russia e dallo sgonfiarsi dell'export verso la Cina. Rimettere in piedi la baracca non sarà facile: Nagel ha anticipato che il 2025 sarà probabilmente «un altro anno di crescita debole», con una previsione di crescita attorno allo 0,4%. Il successore di Jens Weidmann riconosce inoltre che la situazione attuale è persino «più complicata» rispetto all'inizio del XXI secolo: mentre la disoccupazione era molto peggiore allora, non c'era frammentazione geopolitica e il commercio mondiale stava crescendo fortemente. Analisi corretta, ma fuori tempo massimo.

Il vecchio falco piega quindi le ali. Mostrandosi colomba (a metà) perfino sul percorso che attende la Bce. «Considerando che il processo di disinflazione sta procedendo, non avrei obiezioni se decidessimo di continuare a ridurre i tassi«. A patto di non agire troppo in fretta: meglio procedere con allentamenti monetari «a un ritmo misurato».

La riunione Bce, in calendario giovedì prossimo, arriva in un momento delicato per l'eurozona. Alla crisi politica ed economica della Germania si è sommata quella della Francia, acuitasi ancor più dopo la caduta del governo guidato da Michel Barnier. Ieri l'avvio all'Eliseo delle consultazioni tra Emmanuel Macron e i capi dei diversi partiti ha permesso allo spread Oat-Bund di restringersi fino a 75,5 punti base dai 70 di giovedì. Ma il rischio è che si tratti di una breve tregua, almeno a dar retta alla voci sui fondi speculativi che cominciano a puntare fiche sul default del Paese. Parigi non solo ha i conti pubblici fuori posto, con un rapporto deficit-Pil oltre il 6%, ma soffre per una crescita inchiodata poco sopra lo zero (+0,4% nel terzo trimestre), mentre la disoccupazione ha toccato il 7,4% fra luglio e settembre, gli investimenti languono e i fallimenti sono i aumento. Un'eventuale ondata speculativa sul debito transalpino non troverebbero alcun argine nella Bce, poiché metterebbe a nudo la totale inefficacia del Tpi, il nuovo scudo anti-spread varato dall'Eurotower nel luglio '22.

Seppur in affanno, l'Ue continua a esprimere le stesse divisioni che l'hanno connotata negli ultimi anni. Ultimo capitolo, la bocciatura da parte di Italia, Francia e Polonia all'accordo che abolisce dazi e barriere commerciali fra l'Unione europea e il Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay ed Uruguay).

Un patto definito «storico» dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ma che gli agricoltori vedono come il fumo negli occhi.

Coldiretti e Filiera Italia si oppongono con durezza: «Non svenderemo mai il futuro degli agricoltori e la salute dei consumatori europei per un accordo che è lontanissimo dalle reali esigenze di tutela per il comparto agroalimentare. Non accetteremo forme di compensazione di chi vorrebbe usare fondi per prepensionare gli agricoltori europei che vogliono essere protagonisti del proprio futuro».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica