Berlusconi risale al Colle. Quelle di questo pomeriggio sono consultazioni vere e proprie, mentre quelle dello scorso ottobre furono informali. I due, Mattarella e Berlusconi, si strinsero la mano per la prima volta soltanto il 27 ottobre, quando la campagna elettorale sul referendum non era ancora entrata nel vivo. Già allora i due avevano accennato agli scenari possibili e uno, quello della sconfitta del Sì con relative dimissioni del premier, erano prevedibili. Il Cavaliere, anche nel primo incontro, aveva rassicurato il capo dello Stato che la sua sarebbe stata un'opposizione «responsabile». Nessuna voglia di aizzare la piazza; nessuna intenzione di calcare la mano chiedendo elezioni subito «senza se e senza ma». In primis perché una legge elettorale omogenea tra Camera e Senato non c'è; in secundis perché il Cavaliere vuole dare il suo contributo per scrivere una legge elettorale assieme a tutti gli altri. Questione di responsabilità generale ma anche di interesse particolare posto che il metodo di elezione dei futuri parlamentari ha delle ripercussioni sia sul partito sia sulla coalizione.
Ecco perché in queste ore si sono attivati gli sherpa azzurri. Il tentativo è quello di trovare una sintesi con gli alleati naturali di Lega e Fratelli d'Italia per presentarsi uniti al tavolo della trattativa. Berlusconi preferirebbe un sistema elettorale proporzionale con alcune correzioni relative alla soglia di sbarramento (per evitare la proliferazione dei partitini) e al premio di maggioranza (per garantire la governabilità). Lega e Fratelli d'Italia, per ora, hanno detto che quello del sistema di voto è problema secondario: la priorità è ridare la parola agli elettori il più presto possibile. Tuttavia anche a Salvini e Meloni interessa eccome la legge elettorale e a quanto si apprende sono disponibili a trovare una posizione unitaria di tutto il centrodestra. Aperture in questo senso sono arrivate sia dal colonnello del Carroccio Roberto Maroni sia dalla leader di FdI, Giorgia Meloni. Ragionare in termini di contenuti adesso, tuttavia, è prematuro. Prima si vuole capire come si dipanerà il nodo della crisi di governo. Non sarà la stessa cosa se a palazzo Chigi ci sarà un Renzi bis o, come si vocifera, un governo Gentiloni.
Anche se il nome fosse quello dell'attuale ministro degli Esteri, la posizione di Berlusconi non muta: nessun appoggio al governo perché il centrosinistra ha la maggioranza in Parlamento e spetta al Pd e al suo segretario risolvere il pasticcio creato da Renzi. Su questo punto ha rassicurato gli alleati che avevano più volte minacciato la rottura dell'alleanza qualora il leader di Forza Italia avesse tentennato.
L'apertura di un tavolo con gli alleati per arrivare ad una proposta comune sul post Italicum risponde proprio a questa esigenza: fare in modo di preservare l'alleanza di centrodestra nel rispetto delle reciproche diversità. Sullo sfondo, ma mica poi tanto, la questione delle primarie. Per il Cavaliere, però, l'argomento resta secondario.
Troppa carne al fuoco: prima c'è da capire come si esce dalla crisi di governo, poi c'è da riscrivere una legge elettorale. Naturalmente tenendo un occhio rivolto a Strasburgo e a quello che potrebbero decidere gli eurogiudici. I quali, però, aspettano il parere del governo italiano. Sì ma quale? Tutto si lega.
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