Deluso. E dire che Berlusconi una mano gliela avrebbe data persino volentieri. Ma così no. Il Cavaliere, da Arcore dove rimarrà tutta la settimana, ammette che il premier ha fatto proprio fiasco. Aveva un'ottima occasione per fare una riforma vera, seria, strutturale e moderna. E invece no. «Sono troppo divisi al loro interno e Renzi non ha avuto il coraggio. Peccato». L'ex premier si riferisce all'articolo 18 e alle altre norme che avrebbero introdotto maggiore flessibilità nel mercato del lavoro. Tutte cose che Berlusconi va predicando da anni e che, questa volta, predica anche Renzi. Il problema è che, anche ponendo la fiducia sulla legge delega, il premier non ha avuto la forza di mettere nero su bianco cosa avrebbe voluto fare. Risultato: tutto rimandato ai successivi decreti delegati. Berlusconi, in cuor suo, spera che in quell'occasione il governo affronti i veri nodi del lavoro di petto ma fino ad allora sbatte la porta in faccia al premier: nessun soccorso azzurro, quindi, peraltro mal visto da Renzi. «Se la vedano loro», è quindi la linea berlusconiana velata da un certo rammarico perché il governo non ha saputo prendere di petto la situazione mettendo nero su bianco i totem da abbattere.
Lo farà in futuro con i decreti delegati? Renato Brunetta è scettico: «Il Jobs Act di Renzi ha bisogno di almeno 25 anni per essere implementato. #campacavallo», twitta il capogruppo azzurro alla Camera. Gli fa eco Giovanni Toti: «Noi voteremo convintamente contro la fiducia. Per Renzi l'articolo 18 è una bandierina per poi poter dire di aver fatto la riforma del lavoro. Che, in realtà, è tutta da costruire». E ancora: «Il Jobs Act si sta trasformando in un Bluff Act. Sembriamo davvero un Paese delle occasioni perse. Questa riforma del lavoro poteva e doveva essere un'occasione e Renzi la sta buttando via» perché la legge delega non contiene nulla. Si sta facendo soltanto l'ennesimo spot per il giovane presidente del Consiglio ma in realtà non abbiamo riformato nulla».
Pollice verso, quindi. Un niet che ha un duplice effetto: sul piano delle alleanze e della costruzione del centrodestra rende ancora più visibile il fossato che separa gli azzurri dagli alfaniani. I quali, peraltro, non hanno perso l'occasione di graffiare i «cugini» azzurri. Il più nervoso è senza dubbio il relatore, Maurizio Sacconi: «Non posso non rilevare la significativa assenza nel dibattito di un partito importante, Forza Italia. Mi auguro che questo silenzio voglia preludere ad un atteggiamento costruttivo», ha detto provocatorio. Immediata la replica del capogruppo in Senato Paolo Romani: «Stupisce la distrazione di Sacconi nell'ignorare gli interventi di almeno tre esponenti di Fi che hanno messo in evidenza come la rivoluzione annunciata dal premier abbia subito una brusca marcia indietro». Scintille che precluderanno una riappacificazione in vista delle regionali. Ma in fondo la distanza s'era già fatta abbastanza ampia.
L'altro effetto è quello di ricompattare il partito sulla linea dell'opposizione forte e chiara a Renzi, come auspicato da Fitto. Tanto che lo stesso ex ministro ha esultato così: «È ormai sotto gli occhi di tutti la distanza tra il dire e il fare di Renzi». Nessuna ciambella di salvataggio al premier da parte di Berlusconi, quindi, che però continua a non desiderare un capitombolo del premier.
Opposizione ma nessuno sgambetto, quindi. Le urne sarebbero rischiose soprattutto per il Paese. In serata ad Arcore è arrivato il premier ungherese Victor Orbàn, spina nel fianco dei burocrati Ue. Il tema dell'incontro? Chiaro, l'Europa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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